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Il piano sequenza fisso di “1917” rende l’angoscia della guerra

Dalla visione si esce consapevoli di avere assistito ad un qualcosa che non si racconterà solo a cena agli amici, ma che rimarrà nella nostra piccola memoria visiva.

Il piano sequenza fisso di “1917” rende l’angoscia della guerra

Dieci nomination all’Oscar 2020, miglior film drammatico e migliore regia al Golden Globe: già prima della visione di “1917” di Sam Mendes, regista di film dissimili come “American beauty” e “Spectre”, lo spettatore entra in sala con aspettative alte. E dalla visione si esce consapevoli di avere assistito ad un qualcosa che non si racconterà solo a cena agli amici, ma che rimarrà nella nostra piccola memoria visiva. Fronte francese della Grande Guerra, aprile 1917, i ciliegi sono in fiore: ma le truppe inglesi sono bloccate dai tedeschi da mesi. La prima Brigata inglese guidata dal generale Enrimore (Colin Firth) scopre che i tedeschi hanno inscenato uno stratagemma per far sì che gli uomini del colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) attacchino con 1600 uomini che sarebbero rasi al suolo. Enrimore comanda al sergente Tom Blake (Dean-Charles Chapman) ed al caporale William Schofield (George Mackay) di portare l’ordine di non attaccare: nelle truppe c’è anche il tenente Blake (Richard Madden) fratello di Tom. I due con l’ironia che accompagna un nonsense come la guerra attraversano il fronte e tra inneschi di bombe azionati da topi affamati, deserti di cadaveri e distese di cannoni abbandonati cercano di consegnare la lettera.

L’angoscia cresce nella inutilità della guerra, non necessaria, come una medaglia di latta paragonata alla necessità della sete, con una bottiglia di vino. Perché la guerra aggiunge tragedia inutile alla tragedia naturale umana. Tom Blake rimane ucciso in un’azione di guerra, da un pilota della Raf: nella guerra salta anche la differenza tra amici e nemici. Continua da solo Schofield come un Sebastian Coe olimpico che porta l’unico briciolo di umanità nell’autoreferenzialità mortale del conflitto. Il film è come un racconto breve di 148 minuti (pagine) con piano sequenza fisso, che è l’espediente tecnico per dare l’angoscia: mentre le musiche di Thomas Newman sono da Oscar. Forse solo con il genere letterario del racconto breve si può raccontare la guerra: una narrazione troppo lunga ne integrerebbe l’epicità, la poesia le darebbe liricità. “La speranza è pericolosa”, vince chi sopravvive (?).

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