ilNapolista

Il calcio è lo stadio. Senza stadio non ricorderei il gol di Bertucco né la veronica di Sivori

Oggi sarebbe troppo stancante. Dopo 40 anni, guardo le partite a casa. Ma è come guardare i film in tv. Ho il nitido ricordo delle sensazioni provate allo stadio

Il calcio è lo stadio. Senza stadio non ricorderei il gol di Bertucco né la veronica di Sivori
Omar Sivori esulta durante l'incontro Napoli-Spal, in una immagine del 1965. ANSA/PRIMA PAGINA-CARBONE

Personalmente non vado quasi mai allo stadio da un po’ di tempo. Dopo quarant’anni di presenza costante, trenta e più dei quali insieme a Lucio. Inseparabile amico. Per me, per noi è diventato troppo stancante la presenza allo stadio. Per di più in una girandola di giorni ed orari. Come unica eccezione sono andato in trasferta a Salisburgo. La passione, però, non si è attenuata di un briciolo.

Tifosissimo ero. Tifosissimo sono. Insomma il passare degli anni è stato inesorabile. Ma dalla malattia azzurra che ho contratto a cinque anni non sono guarito.

Certo la nostalgia è molto forte. Come sempre accade con i ricordi, le sensazioni di gioventù. Un conto è vedere la partita in tv. Non perdi un dettaglio tecnico. Non hai dubbi sui centimetri di un fuorigioco. Sai per certo chi ha segnato…

Però … però allo stadio è un altro mondo. Ti avvolge una nube di passione. Di trasporto. Che ti fa godere anche quello che non vedi. Che ti fa gridare “goal, goaaaaal..” e poi magari chiedere ansimante “scusate ma chi ha segnato?”

E mentre sono tante e tante le immagini impresse nella memoria di partite, di singole azioni o di singoli calciatori vissute sugli spalti del San Paolo, devo confessare che quasi nulla mi è rimasto di ciò che ho visto in tv. Perché il clima che si genera in uno stadio è come una sorta di collante della memoria.

Se invece di essere sugli spalti fossi stato in poltrona, mi sarebbe rimasta la memoria del goal di Bertucco (Carneade, chi è costui?) con il quale il Napoli vinse 4-3 contro la Juve allo stadio del Vomero? E la veronica di Manolete (al secolo Omar Sivori) accompagnata da un assordante olè?

D’altro canto un fenomeno simile si produce, mutatis mutandis, con i film. Un conto è assistere alla proiezione di una pellicola nella magica atmosfera di una sala cinematografica, un conto è farlo a casa in poltrona. Magari con il telefono che squilla o il citofono che suona. Spezzando il ritmo drammatico della proiezione. Ricordo in proposito le filippiche di Fellini contro le interruzioni per la pubblicità. Ma torniamo al calcio.

Credo di non avere mai visto, ai miei tempi, una partita seduto. Sempre in piedi. In uno stadio stracolmo. Si arrivava almeno un’ora prima dell’orario previsto per il match. Si restava seduti fino al fischio d’inizio. A chiacchierare amabilmente. Poi scattavamo tutti in piedi non appena le squadre facevano capolino all’uscita degli spogliatoi. E se pioveva, detto per inciso, stare in piedi era anche una forma di protezione dalla pioggia in uno stadio assolutamente privo di coperture. Nelle orecchie mi è rimasto come un marchio di fuoco il rumore del tifo. Cori. Urla. Proteste. Sberleffo. Espressioni di gioia. Lo stadio si identificava con quel frastuono. E il pubblico dei tifosi era un elemento fondante dello spettacolo stesso. Una cornice insostituibile. Di tale sensazione mi è rimasto il ricordo. Insomma il pubblico mi manca molto. Come manca al mio inseparabile amico Lucio. In un certo senso ne abbiamo costruito un surrogato. Infatti Lucio, ancora oggi, immancabilmente mi chiama nell’intervallo e alla fine della partita. Per un commento tecnico, uno sfogo. E durante l’intervallo anche per un pronostico. In fondo è come se io e lui insieme attaccati al cellulare costituissimo il nostro personale (e buffissimo) pubblico.

P.S. Sono stato indotto a questo amarcord dal fatto che ho difficoltà a capire i termini della polemica di molti tifosi con la società (il Comune? la prefettura?) per le nuove regole che governano la frequentazione del San Paolo. Per il semplice fatto che manco da un po’ di tempo, come ho detto, dallo stadio. Se però anche una persona del calibro di Edoardo Cosenza (del cui voluminoso e prestigioso cursus honorum vi risparmio la descrizione) protesta, vuol dire che qualche problema c’è.

ilnapolista © riproduzione riservata