Una ricerca dimostra che i calciatori muoiono di demenza il triplo degli altri, e ora si cerca di proteggere i bambini. Negli Usa è già così dal 2015

Niente colpi di testa sotto i 12 anni. Uno dei fondamentali del pallone potrebbe diventare presto una abilità da insegnare e allenare solo dall’adolescenza in poi, semplicemente perché fa male. Negli Stati Uniti è già così dal 2015, mentre potrebbe diventare a breve una realtà anche in Scozia, primo paese della vecchia Europa ad adottare una misura che viene definita come “salvavita”.
A ottobre l’Università di Glasgow ha pubblicato una ricerca commissionata dalla Football Association e dalla Professional Footballers Association dopo la morte dell’ex attaccante del West Brom Jeff Astle che dimostra che gli ex calciatori muoiono di demenza con un incidenza tre volte e mezza superiore a quella del resto della popolazione. E che questo dato è da ricondurre esclusivamente alle migliaia di microtraumi che si accumulano colpo di testa dopo colpo di testa, danneggiando a volte irreparabilmente il cervello dei giocatori.
In virtù di questo la Federazione Scozzese ha intenzione di provare a proteggere quantomeno i bambini non formati, per i quali i traumi ripetuti sono ancora più pericolosi: nelle scuole calcio, negli allenamenti e in partita, fino ai 12 anni compiuti, sarà vietato colpire il pallone di testa.
L’associazione contro i danni al cervello Headway dice al Guardian: “È comprensibile che allenatori e genitori cerchino chiarimenti su questo problema. È quindi essenziale che vengano condotte ulteriori ricerche per comprendere appieno quali rischi, se ve ne sono, sono legati al colpire ripetutamente palloni moderni e leggeri. Ci sono domande sul limite di età. Possiamo dire che un bambino di 13 anni è in grado di colpire con sicurezza la palla? La difficoltà che affrontiamo, in assenza di ricerche significative relative al gioco moderno, è su dove tracciare la linea in termini di rischio accettabile rispetto ai benefici che otteniamo dall’esercizio fisico sano”.