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E se il Napoli adottasse il modello Athletic Bilbao?

La storia di Sebastiano Esposito, i dati impietosi dello Svimez, il dislivello Nord Sud. Per continuare a competere, il Napoli potrebbe cambiare strategia

E se il Napoli adottasse il modello Athletic Bilbao?

Durante la pausa invernale e in attesa della ripresa del campionato di Serie A, mi è capitato di leggere la “favola” di Sebastiano Esposito (2002) attaccante dell’Inter che, a meno di 18 anni, ha segnato il suo primo gol da professionista con la maglia neroazzurra. Si tratta di una storia interessante quella dei tre fratelli Esposito, tutti calciatori e figli di Agostino, ex giocatore e allenatore della Juve Stabia, la squadra di Castellammare, città natale dei giovani Esposito. Sebastiano a soli 9 anni ha lasciato la città nativa e si è spostato a Brescia. L’occasione è arrivata nel 2011 durante un’amichevole fra due squadre locali. Il giovanissimo Sebastiano viene notato dall’osservatore del Brescia che decide di portarlo nel club lombardo. Rimane nel settore giovanile dei biancazzurri fino al 2014, quando viene ceduto all’Inter assieme al fratello maggiore Salvatore (2000) che attualmente milita nel Chievo. Ai due fratelli si è poi aggiunto il più piccolo Francesco Pio (2005) che fa parte delle giovanili dell’Inter.

Approfondendo la storia, mi sono imbattuto nell’articolo di Bruno Majorano pubblicato su Il Mattino venerdì 3 gennaio intitolato “Esposito e gli altri napoletani in fuga”. La lista dei giocatori campani presenti nelle squadre di serie A è lunga. Il giornalista cita tra gli altri i portieri Gigio (1999) e Antonio (1990) Donnarumma entrambi giocatori del Milan e nativi di Castellammare di Stabia. Da Torre Annunziata provengono gli attaccanti Ciro Immobile (1990) della Lazio cresciuto nelle giovanili della Juventus e Alfredo Donnarumma (1990) del Brescia. Altri giocatori napoletani sono i difensori Armando Izzo (1992) del Torino, Fabio Pisacane (1986) del Cagliari, Danilo D’Ambrosio (1988) dell’Inter, Rolando Mandragora (1997) dell’Udinese. Di questo non esaustivo elenco, l’unico cresciuto nel settore giovanile del Napoli è Armando Izzo. Nella rosa attuale del Napoli sono presenti soltanto due napoletani provenienti dalle giovanili azzurre, il capitano Lorenzo Insigne (1991) e Gianluca Gaetano (2000).

Dopo aver letto l’articolo, parlare di fuga mi è sembrato un po’ troppo provocatorio, ma riflettendoci meglio e soprattutto leggendo il rapporto Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) 2019 pubblicato il 4 novembre dello scorso anno, ho cambiato idea. Si tratta di una vera e propria fuga che colpisce tutti gli strati della società e non soltanto il mondo del calcio che, specchio della realtà sociale, è anch’esso colpito dal fenomeno della migrazione soprattutto verso il centro nord del paese.

I dati pubblicati dallo Svimez sono impietosi. Dal 2000 a oggi oltre 2 milioni di persone hanno lasciato il Sud. Il Mezzogiorno continua a subire un’emorragia di giovani e di persone qualificate: il 72% degli emigrati ha meno di 34 anni, un quarto dei quali sono laureati. Per dare l’idea delle dimensioni del fenomeno, basti pensare che il saldo migratorio al netto dei rientri, è negativo per 852 mila persone. Come se dal 2002 al 2017 fosse scomparsa una città grande come Napoli. Il rapporto afferma anche che è tornato ad allargarsi il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord, che “nell’ultimo decennio è aumentato dal 19,6% al 21,6%: ciò comporta che i posti di lavoro da creare per raggiungere i livelli del Centro-Nord sono circa 3 milioni”. E nel 2019 la crescita dell’occupazione “riguarda solo il Centro-Nord” con 137mila posti di lavoro in più, mentre nel Meridione, si contano 27mila posti in meno.

La politica non è esente da colpe. L’introduzione del rapporto Svimez recita così: “Nell’ultimo ventennio, la politica economica nazionale ha disinvestito dal Mezzogiorno, ha svilito anziché valorizzare le sue interdipendenze con il Centro-Nord, con la conseguenza di determinare l’indebolimento del mercato interno dei settori produttivi delle aree più forti del Paese. Abbiamo assistito (è proprio il caso di dirlo perché le voci critiche a riguardo sono state ben poche) a un progressivo disimpegno della leva nazionale delle politiche di riequilibrio territoriale con conseguenze negative per l’intero Paese”.

A Napoli e al Sud, le opportunità economiche e di valorizzazione del proprio lavoro sono poche. Chi ne ha la possibilità abbandona la propria terra, le amicizie e le famiglie per andare alla ricerca di condizioni lavorative e di qualità della vita migliori. In linea generale al Sud mancano risorse, infrastrutture, investimenti nazionali ed internazionali. Tutto ciò è visibile anche nel mondo del calcio. Delle 20 squadre iscritte alla Serie A ben 17 provengono dal centro-nord e 3 dal sud e isole.

Le più importanti società italiane sono di proprietà o di capitali esteri: l’Inter del gruppo cinese Suning di proprietà di Zhang Jindong, il Milan del fondo americano Elliott (anche se il 99,93% del club fa capo alla società lussemburghese Rossoneri Sport Investment Luxembourg riconducibile attraverso altre società alla Elliott). La Roma è in procinto di essere venduta dall’americano di origini italiane James Pallotta a un altro americano Dan Friedkin. La Fiorentina è stata acquistata dall’italoamericano Rocco Commisso e il Bologna appartiene al canadese Joey Saputo. La Juventus è di proprietà del gruppo Exor, con sede in Olanda, controllato dalla famiglia Agnelli e ha interessi a livello mondiale. Tra le prime della classe soltanto il Napoli di Aurelio De Laurentiis, la Lazio di Claudio Lotito e l’Atalanta dell’imprenditore Antonio Percassi hanno proprietà nazionali.

Per quanto riguarda il Napoli, credo che siamo di fronte a un vero e proprio miracolo imprenditoriale più che sportivo, con tutti i limiti che possiamo imputare al modello di business adottato da Aurelio De Laurentiis. Il club si trova su un territorio quasi abbandonato a se stesso, con poche risorse, con minimi investimenti nazionali e internazionali, con un fenomeno migratorio in costante aumento, con un altissimo tasso di disoccupazione e con una bassissima appetibilità per attirare capitali esteri di investimento. Come potrà il Napoli continuare a competere ad alti livelli se la situazione socioeconomica appena descritta non cambierà? Forse puntando maggiormente sui ragazzi campani. Non voglio dire che il Napoli dovrebbe avere tra le sue fila solo calciatori napoletani o campani, imitando il modello basco dell’Athletic Bilbao. Sarebbe impensabile e anacronistico nel mondo globalizzato in cui viviamo. Invece, il Napoli potrebbe sfruttare molto meglio i talenti che nascono sul territorio campano evitando la “fuga dei piedi” che dopo quella dei cervelli, sembra non aver fine.

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