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De Laurentiis come Fonzie, quando doveva chiedere scusa, si sforzava ma la parola non gli usciva

Quo vado? Direbbe Zalone, il Napoli adesso deve decidere dove vuole andare, se fare retromarcia o continuare per questa strada e rischiare il naufragio

De Laurentiis come Fonzie, quando doveva chiedere scusa, si sforzava ma la parola non gli usciva

L’acquisto del Napoli da parte di Aurelio De Laurentiis nel 2004 è stato l’inizio di una piccola grande rivoluzione sportiva, culturale e imprenditoriale, che ha trasformato una società fallita in un’azienda seria e produttiva – conosciuta e apprezzata a livello internazionale – in un contesto urbano e sociale degradato. In più, è riuscito a rescindere il legame con le frange di tifo più estremista e prepotente (prima che intervenisse la magistratura), cosa, anche questa, pressoché rara nel panorama calcistico italiano attuale. Tutto questo però non ha impedito che la traversata, per usare una metafora marinara che ci tornerà utile, abbia subito un improvviso e inaspettato stop.

Ci può stare. Il calcio non è una scienza esatta. Non ubbidisce necessariamente al principio di causa ed effetto. È un campo dove il fattore umano ricopre un ruolo importante, lo sappiamo. Senza contare che è uno dei pochi sport dove la componente dell’imprevedibilità è molto importante, uno dei pochi sport dove non necessariamente vince il più forte. Forse è per questo che ci piace così tanto.

Stabilito ciò, il Napoli adesso si trova di fronte a una scelta, quale può essere la strategia giusta per riportare in rotta l’impavida imbarcazione partenopea? Rilanciare, continuare con la rivoluzione, magari trovandosi un socio che lo aiuti ad affrontare il mare aperto? Oppure cambiare rotta, ammainare le vele e rientrare nel porto conosciuto e navigare nei fondali di una classifica media? Quo vado? Direbbe Zalone. Tutti i tifosi, compreso chi scrive, si augurano che De Laurentiis scelga la prima via e lasci da parte le esitazioni, le soluzioni facili, le tentazioni tipiche degli imprenditori pavidi che non hanno a cuore le sorti dell’azienda e dei suoi sostenitori.  Ma se invece decidesse di riprendere il timone dell’imbarcazione con la stessa voglia, lo stesso coraggio e la stessa determinazione dei primi anni non ci metterebbe molto a compiere il salto definitivo di qualità alla squadra. Il bravo marinaio, il bravo capitano, del resto, si vede quando il mare è in tempesta. Ma quante possibilità ci sono che De Laurentiis rilanci la sua rivoluzione?

La sua era ebbe inizio una bollente estate di sedici anni fa quando – come la leggenda narra al limite della sopportazione – mentre i ricchi imprenditori napoletani si crogiolavano al sole di qualche spiaggia esotica indifferenti alle sorti della squadra del cuore, a De Laurentiis dalla tasca dedicata alle piccole somme gli toccò di sborsare pure cinquanta euro extra. Li passò a Montervino e Montesanto per comprare i palloni e le pettorine in un negozio di giocattoli, a Capaccio. Il tempio di Apollo, imperturbabile testimone di tanti avvenimenti per alcuni anche più nobili di questo, si ergeva con la sua potenza evocativa alle spalle dell’audace imprenditore di origini torresi, quando Montervino si avvicinò: con una mano reggeva la rete dei palloni con l’altra gli consegno il resto. ADL mise gli spiccioli avanzati in tasca (sempre quella), estrasse le Ray-Ban specchiate e le inforcò con grande determinazione. Sui suoi occhi vitrei finalmente brillava il sole. Anzi, due soli. Uno per lente. Felice e orgoglioso, tirò su le maniche della giacca pronto a salpare verso questa nuova avventura: adesso che i ragazzi avevano finalmente i palloni di cuoio, tutto sarebbe stato più bello, tutto avrebbe avuto un senso. Il vento della conquista gli soffiava a favore. Gli mancava solo un ufficiale in comando navigato e ubbidiente.

Prese Pierpaolo Marino, per poi mollarlo alla prima occasione, pensando che ormai avesse imparato tutto o quasi dal manuale del perfetto navigante che l’incauto Marino (forse non tanto ubbidiente) aveva lasciato incustodito in cabina. E fu così che ADL scelse la via snella della conduzione familiare. Non solo non aveva concorrenti fra gli imprenditori, adesso era finalmente solo e consapevole al comando all’interno della sua azienda. I campi di calcio sarebbero diventati terreni di conquista.

I risultati (che secondo alcuni più scaltri di me è l’unica cosa che conta, dentro e fuori lo sport) ottenuti sinora, sono sotto gli occhi di tutti e gli danno ragione. La Società Sportiva Calcio Napoli è cresciuta rapidamente, ritornando ad essere una squadra competitiva sia in Europa che in serie A. Certo, con lui al comando non ha vinto scudetti né coppe Europee, ma qualche coppa nazionale l’ha vinta, e dopo un breve passaggio per il purgatorio della serie B e C, la squadra da diversi anni si è stabilmente affermata ai vertici del campionato italiano, collezionando una striscia significativa di qualificazioni alle coppe europee, e facendo della consistenza, della regolarità sportiva, e della stabilità finanziaria un dogma come mai era accaduto in passato. E non è poco, anzi.

Tutto questo, finora.

Sì, perché finché c’erano i risultati (secondo alcuni più scaltri di me, ripeto, sono l’unica cosa che conta), finché il vento soffiava a favore, la navigazione è proceduta senza intoppi, ma non appena l’impavida nave ha iniziato a solcare mari più impegnativi, ha palesato i suoi limiti.

Come mai? Che è successo? Allora non è vero che contano solo i risultati?

Andiamo con ordine. Come prima cosa, non tutto il male può essere riconducibile ad un mancato svecchiamento della rosa dei calciatori. Non basta rifondare. Dopo i litigi, le frecciate, gli ammutinamenti, le dichiarazioni di dubbio gusto, e le parole grosse che sono volate fra tutti i componenti della società lo scorso novembre mi sembra fin troppo ovvio. Molto più probabilmente, il conseguimento di brillanti obiettivi economici e sportivi hanno tenuto nascosto sotto lo zerbino, degli errori di strategia, di organizzazione societaria e un briciolo di supponenza che adesso stanno venendo fuori. Tutti insieme. Ma se il Napoli vuole competere per lo scudetto e partecipare alla Champions con costanza, deve creare le condizioni, gli anticorpi, per resistere alle intemperie, per disinnescare tutte le potenziali micce che ci sono, da che mondo è mondo, in ogni tipo di spogliatoio, specialmente quando si raggiungono certi livelli. Per farlo, c’è solo una strada: completare la rivoluzione iniziata nel 2004.

C’è sempre spazio per migliorarsi, soprattutto se finalmente si decidesse di abbandonare la struttura societaria di stampo familiare (struttura più adatta ad una piccola azienda di scatolame dell’agro nocerino sarnese che a una moderna società di calcio tra le prime nel mondo), e affidarsi finalmente a dei professionisti del settore; soprattutto se si decidesse di investire nel settore delle strutture giovanili; migliorare il settore del marketing e della comunicazione; investire in uno stadio di proprietà; migliorare i rapporti con la Federazione. Tutte cose, a pensarci bene, molto semplici. Basta investire un po’ di soldi, e delegare un po’ di potere (e gli farebbe anche bene). Cose che per indole ADL trova particolarmente difficile da fare. Come Fonzie, in Happy Days quando doveva chiedere scusa, si sforzava ma la parola non gli usciva completa. Intanto la domanda è lecita, perché sprecare tutto quello che di buono s’è fatto sinora e riportare la prua verso le tranquille e mesmerizzanti fondali capresi? Completi l’opera! Completi la rivoluzione. Un genio come lui non può non accettare questa nuova sfida. Quando gli capiterà più una cosa del genere? Ne approfitti. Lasciare una cosa bella incompiuta è un crimine, non si tiri indietro sul più bello. Vada avanti, non si accontenti come farebbe un comune mediocre mortale. Sono tutti asset che aiuteranno il Napoli a restare a lungo nel vertice del calcio mondiale, e la Società aumenterà il suo valore. Questo non significa che non ci saranno nuove crisi, ma di certo non saranno così profonde, e soprattutto non rovineranno l’immagine simpatica e vincente che la società si è (era?) faticosamente creata, grazie prima a Mardona e poi a lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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