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Perché a Napoli non abbiamo mai avuto Shankly, Wenger o Ferguson

La premessa per una relazione duratura è che tutte le parti devono avere anche fiducia e pazienza. Soprattutto, specialmente quando le cose vanno male

Perché a Napoli non abbiamo mai avuto Shankly, Wenger o Ferguson

De Laurentiis si è detto talmente tante volte certo di aver trovato il proprio Ferguson, che la storia del Ferguson per il Napoli è diventata una barzelletta. A memoria, solo per Ventura e Donadoni non si è sbilanciato. Per tutti gli altri, Aurelio prevedeva un lungo futuro a Napoli.

Uno di questi è Ancelotti. È buffo, a suo modo, che il mister ora approdi all’Everton, ovvero sulla sponda blue del Merseyside. Il coach firma un contratto fino al 2024. Vuole un progetto di lungo termine, così come lo voleva a Napoli. Vuole il tempo per pianificare e vedere la propria creatura crescere. Forse in Inghilterra lo avrà, se non altro ci sono maggiori possibilità.
Già, perché Ferguson è diventato sinonimo di allenatore longevo. Ma il calcio britannico è ricco di casi di mister duraturi. Wenger, rimanendo ai coetanei di sir Alex. Harry Catterick, pescando nella storia dell’Everton, o Don Revie, guardando al grande Leeds United.

Nel Regno Unito gli allenatori non sono solo allenatori: sono manager. Seguono la squadra in senso più ampio. Se generano buone dinamiche, sia sportive che economiche, possono instaurare relazioni stabili con i propri club. Più stabili dei 3-4 anni che, in media, un allenatore passa nella squadra italiana dove sta facendo bene.

Ecco, rimanendo a Liverpool, nuova casa di Ancelotti, vale la pena gettare l’occhio anche sulla metà rossa della città. Qualche tempo fa sul Napolista si citava Maledetto United, il romanzo di David Peace su Brian Clough. Allora si può parlare anche di Red or Dead, titolo dello stesso autore sulla vita e le opere di Bill Shankly, manager del Liverpool dal ’59 al ’74. Oppure ci si può attenere a Jurgen Klopp che ha da poco rinnovato fino al 2024 e si candida ad entrare anche lui nella lista dei coach longevi.
Che ce ne importa? C’è una lezione che il Napoli può apprendere dalle loro esperienze. E quando scrivo il Napoli, non intendo solo la famiglia De Laurentiis, ma anche il tifo e il corpo intermedio di influencer, media e opinionisti.
La prima premessa per una relazione duratura è il sincrono degli orologi. Squadra e mister devono condividere gli obiettivi e i tempi, i piani A e i piani B. E questa era facile.

La seconda premessa è che tutte le parti devono avere anche fiducia e pazienza. Soprattutto, specialmente quando le cose vanno male. Bill Shankly è considerato un padre dai Reds: li ha riportati in epoca moderna a vincere titoli nazionali e internazionali. Ma ha raccolto la squadra in seconda divisione e ha raggiunto la promozione solo al terzo tentativo. Dopo aver vinto il titolo nel ’64-’65, ha galleggiato sei stagioni tra il secondo e il quinto posto. Senza che nessuno lo mettesse alla porta. Uno dirà: vabbè, ma era calcio di altri tempi. Anche Jurgen Klopp è arrivato al primo successo dopo tre anni. E che successo.

Insomma, De Laurentiis non ha ancora detto anche di Gattuso “sarà il nostro Ferguson”. Prima o poi lo farà. Sapete che vi dico? Spero che Rino detto Ringhio da Corigliano Calabro lo diventi. Ma nel calcio “tutto e subito” non funziona. Così come condividere le responsabilità non vuol dire mettere pepe al culo. Lo ricordi il presidente. Lo ricordi Gattuso. Lo tenga ben presente anche la piazza.

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