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“Lasciatemi perdere, come disse Napoleone a Waterloo”

La battuta teatrale di Paolo Poli fotografa alla perfezione il rassegnato masochismo di squadra, giocatori e proprietà nella prima crisi vera dopo 15 anni

“Lasciatemi perdere, come disse Napoleone a Waterloo”

“Lasciatemi perdere, come disse Napoleone a Waterloo”. Potrebbe essere questa l’invocazione di Ancelotti di fronte alla rissosa situazione dello spogliatoio napoletano. La vecchia battuta teatrale di Paolo Poli fotografa alla perfezione il rassegnato masochismo di squadra, giocatori e proprietà nella prima crisi vera della società dopo un quindicennio di successi.   

Il ritiro sì, no, non lo so.

Riassunto delle puntate precedenti. Una parte della truppa acconsente al ‘ritiro’ , l’altra (quella dei veterani) no, rimane fermamente contro. Ancelotti si trova tra Scilla e Cariddi. Va in ritiro, come vuole la famiglia De Laurentiis, ma non è d’accordo. Succede il patatrac. Carletto cerca soluzioni d‘imperio,  il “ritiro questa volta lo ordino io”, dice. Ma lo dice per amor di patria e sono in pochi disposti a credere che la mossa sia risolutiva. I contrasti si sono radicati nel profondo. E non è facile giocar bene, a perdifiato, con l’istinto predatorio in attività, non pensando a maximulte e a disastrosi giudizi per danni all’immagine.  Non si vince con le parole – semmai ci dovesse essere un ravvedimento operoso – ma sul campo. Se non è questo, sono chiacchiere.

Lo stupore e l’ultima chiamata

A Mont-Saint-Jean, nei pressi di Waterloo, la battaglia fu persa. Sempre in Belgio, l’ultima chiamata si pronuncia Genk (e Udinese), con l’attesa svolta salva-stagione, le promesse, i condoni danarosi, a patto che si vinca e si giochi, anche se la squadra si è allenata più con gli avvocati che col pallone.

Acquarelli e “fattarielli”

La domanda, meglio lo stupore. Com’è possibile che una squadra, costruita con un quindicennio d’investimenti mirati, si sciolga in pochi giorni come neve al sole? L’acquarello napoletano contraddetto dai “fattarielli” tenuti ben nascosti nello spogliatoio degli scontenti. Finanche l’attesa dei tifosi sfiorava l’incredulità, si pensava a un fenomeno passeggero. Si partiva dalla squadra scudetto, negli auspici di Dimaro, a quella che comunque avrebbe stazionato nei primi tre posti della classifica. La campagna acquisti? Ottima e abbondante. Ci manca il fuoriclasse puro? Certo che c’è, il generalissimo Ancelotti, vincente e fortunato come si addice a un grande condottiero. “Il secondo posto non ci basta”, a dirlo lui stesso e la vulgata. Attenti, invece, al quarto posto già lontano e alla zona retrocessione, se gli animi rimangono gli stessi: io mi rifiuto di andare in ritiro, tu mi fai pagare caro l’atto eversivo. Si cerca la prova di forza. Così, non si va da nessuna parte.

L’essenza, stringendo stringendo il brodo, è la domanda: com’è possibile che una squadra votata allo scudetto (più o meno così) tracolli in una che deve guardarsi avanti e indietro in classifica, tra il purgatorio della zona di mezzo e l’inferno della zona rossa?

Mercato fuori controllo

E’ la realtà complessa, come abbiamo già scritto. Ma tra tutti i motivi plausibili della débacle ci va messo il Mercato. Il Napoli non ha saputo fronteggiare le conseguenze della sua stessa notorietà e dello stormo di mediatori che si sarebbe precipitato sui campioni nascenti e sulla fucina del bel gioco. Da un allenatore all’altro, il marchio di fabbrica del San Paolo avrebbe garantito buoni affari in entrata e in uscita, attraverso l’esodo di giocatori importanti e stagionati e l’acquisto di giocatori promettenti e maturi  (vedi Di Lorenzo).

L’oro del Klondike

Mercato invadente e fughe per la vittoria. Raiola va a casa di Ancelotti, insieme al presidente e a Giuntoli, per un vertice sul mercato. Lo stesso potente procuratore prende in consegna Insigne per organizzare il suo futuro. Va in uscita o prossima l’intera verticale degli azzurri: Reina, Albiol, Koulibaly, Allan, Jorginho, Hamsik, Mertens, Higuain. Contratti da favola, piazze più tranquille e addìo Napoli.

A partire dalla proposta milionaria del PSG, rigettata da De Laurentiis, Allan diventa irriconoscibile. Il Napoli gli ha “schiattato” il futuro. Hamsik ha un carattere diverso. Patteggia in pace con la società il suo destino cinese. Koulibaly viene accerchiato dai grandi club europei e – si dice – non resterà a lungo nel Napoli, specie dopo il suo ingresso nella hi-parade del pallone d’oro. Higuain tradisce con la Juve, ma ritrova Sarri che fa lo stesso. “Voglio diventare ricco”, dice senza mezzi termini il Comandante, che a Napoli inventa un piccolo Barca, altrove non si rivela così fesso da impantanarsi nell’integralismo tattico. Poco alla volta riesce a far sedere in panchina anche il divo Ronaldo. E’ il suo successo più grande.

Carletto e i suoi fratelli

Ma le grane di Carletto non finiscono qui. Il mercato incombe appena si mette piede sul campo. Il Napoli, la nuova Signora o Signorina del calcio, adotta come sempre il ritmo lento. Fa buoni acquisti, ma perde il controllo della situazione. Occorre rinnovare anche i contratti in scadenza di due super-azzurri, Mertens e Callejon, considerati irrinunciabili fino alla crisi, poi nella lista nera della contestazione. Infine, il caso dei casi: il capitano Insigne, patrocinato dal migliore affarista in circolazione, Carmine Raiola di Nocera inferiore, viene spedito da Ancelotti in tribuna contro il Genk, avvalorando l’ipotesi di una sua cessione.

Il caso Insigne

Il caso fa da incubatore della crisi. Lorenzo la prende male. Gli era stata proposta la panchina per l’incontro. L’aveva rifiutata. E mentre in ambiente Juve queste cose possono accadere, vedi Ronaldo, nel Napoli diventano dirompenti.  La società, che doveva vincere il campionato, non riesce a tenere il passo dei procuratori, delle migrazioni liberalizzate di giocatori e allenatori, finanche dei ruoli in campo, che esaltano o deprimono il valore del singolo.

Per ora ritiro, ma niente ritirata.

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