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I calciatori del Napoli non hanno riconosciuto la leadership di Ancelotti

Occorreva una leadership un po’ più flessibile per governare quegli uomini, con quelle teste, in quel contesto. Io, da presidente, avrei fatto la stessa cosa

I calciatori del Napoli non hanno riconosciuto la leadership di Ancelotti

Nessuno lo dice, lo faccio io: il Napoli è fra le 16 squadre più forti in Europa.

Dispiace per Ancelotti ma a me, in questo momento, interessa il Napoli. Solo il Napoli.

Ma se proprio vogliamo affrontare il discorso Ancelotti secondo una logica aziendalistica, l’unica per la quale mi posso permettere di scrivere, dobbiamo riconoscere che non c’erano alternative. È stato un semplice fallimento da cui si poteva ripartire, come abbiamo sostenuto qualche settimana fa, dallo stesso Ancelotti e da alcune integrazioni di ruoli nella società

Ma in queste ultime due settimane il gruppo, indipendentemente dalle lacrime postume e coccodrillesche di qualcuno, lo aveva mollato.

Mi consenta quindi Il Napolista, di cui mi onoro di far parte, di dissentire con un pizzico di affettuoso humor dalla linea apologetica assunta nei confronti del Deus Carletto negli ultimi due anni.

Parto dalla conclusione: ho la sensazione che la sua “leadership calma” non sia stata adatta a questo gruppo e a questo contesto per vincere!

Ripeto per vincere che significa essere primi, salire sullo scalino più alto del podio, alzare la coppa. Motivo per cui era stato scelto.

Sensazione più volte manifestata (già da mesi) nonostante abbia costante e profonda stima dell’uomo e dei suoi valori ed ammirazione per tutto ciò che ha fatto finora come allenatore… altrove.

Forse perché fa parte del mio bagaglio professionale ma osservare determinate tematiche, vi assicuro, vale spesso molto più del giudicare il gesto tecnico che sta dietro un calcio di rigore.

Partiamo da un assunto: la leadership è la capacità di far conseguire alle persone di un gruppo determinati obiettivi. Si tratta di una competenza/capacità volta ad influenzare le persone ad impegnarsi volontariamente in obiettivi di gruppo.

In altri termini avere leadership significa avere consenso, disponibilità verso gli altri e quindi capacità di capire in tempo relativamente breve gli interlocutori al solo fine di indirizzarne i comportamenti verso gli obiettivi prefissati dalla organizzazione.

Il consenso, anche totale, senza risultati serve ai missionari, non ai leader!

Conoscere le persone significa sapere come sono fatte, come la pensano, quale tratto di personalità evidenziano in maniera tale da assumere comportamenti «adeguati» per il raggiungimento degli obiettivi.

Bisogna sapere da «cosa» sono spinti a lavorare e quindi agire su «determinate leve» per ottenere maggiore produttività ed efficienza, maggiore adesione agli obiettivi aziendali e soprattutto meno distrazioni.

I leader non sono amati dai propri collaboratori ma sono stimati perché hanno garantito agli stessi il giusto equilibrio tra gli obiettivi aziendali e gli obiettivi personali (soldi, carriera, status, ecc…).

Il povero Massimo Giacomini (allenatore di un Napoli di inizio anni ’80), persona perbene e benvoluta da tutti i suoi giocatori, non ne vinceva una manco a Subbuteo.

Un leader è tale quando è scelto dal gruppo, non certo per la stellina che una organizzazione può appiccicargli sulla giacca.

E il gruppo di calciatori, sicuramente immaturi e destrutturati psicologicamente che l’allenatore aveva scelto e confermato firmando un contratto che non gli lasciava margine di manovra, non gli riconosceva tale leadership.

Non esiste un unico stile di leadership valido per qualsiasi gruppo di persone ed in qualsiasi contesto. I migliori leader sono quelli che adattano i loro stili di comando in base al materiale umano a disposizione e all’ambiente in cui operano. Ancelotti èblake rimasto a Kakà e a Milanello.

Abbiamo numerosi stili di leadership (autoritario, delegante, coinvolgente, …….), non ascrivibili ad uno schema preciso ma, secondo la teoria di Blake e Mouton, sicuramente inquadrabili in base a due variabili che influenzano lo stile dirigenziale.

Ci sono leadership più “orientate alle persone” dove lo stile di comando, indicato per i gruppi con elevata maturità professionale, è basato su “poca guida e molto sostegno” ed altre più “orientate ai compiti” dove invece il modello di comando, teoricamente adatto ai gruppi poco maturi professionalmente, è invece concentrato su “molta guida e poco sostegno e relazione” .
Da qui non si scappa.

Ovviamente lo stile ideale si trova nel mezzo, sulla bisettrice di questa griglia.

Nel primo caso c’è stato Ancelotti con la sua “leadership calma”, nel secondo Sarri con la sua leadership paranoica. Forse occorreva una leadership un po’ più flessibile su quella panchina per governare quegli uomini, con quelle teste, in quel contesto.

Io, da presidente, avrei fatto la stessa cosa.

P.s. questo pezzo lo avevo scritto due mesi fa ma non lo avevo pubblicato per una scommessa con Massimiliano Gallo e per ascoltare mio figlio Agostino che mi accusava di essere Cassandra

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