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Dialogo tra Montalbano e Livia a Natale

La cusa stiva diginiranda ma a sarvari omnes vinne la Rivilazione della divinitati: Adilina cumparsi con na spelunca de Arancina fumanti

Dialogo tra Montalbano e Livia a Natale

Erino lì in casi di Adilina: commo al solita haviva vinto iddo: tra pauca saribbiro arrivata macari l’arancina e Muntilbano nun stavi chiù nella pilla.

“Come al solito hai vinto tu”.

“Ma Livi: il Natali è na Fista no na cursa”.

Livi: “Io sono scesa da Genova pensando che mi avresti portata a vedere una prima teatrale al Massimo, ma neanche a vedere Pinocchio mi hai portata… “.

Muntilbano: “Ma non vidia che stimo caa omnes: ci stavi Mimì Augelli con la mugliere Bea e con il picciliddro Salvu… “.

L: “Che poi tanto piccolo non è più… “.

M: “Tra pauca arrivi Fatia con la picciotta: Galluzza havia già prisa la primera butta alla machina… “.

L: “Io non ce l’ho con i tuoi amici – che tra parentesi sono anche i miei – ma avrei voluto andare a teatro o a vedermi quei nuovi scavi archeologici che hanno fatto a Tindari”.

M: “Ma havimma todo il timpa per annarce”.

L: “La verità è che tu sei un fottuto egoista… “.

M: “Livi ma ura macari vulgari ti si facta?”.

L: “E non cominciare con la tua solita tiritera dell’uomo tutto di un pezzo offeso dal turpiloquio del mondo che con me non regge… “.

M: “Ma quali turpialoquia: a Natali si stavi con le pirsone a cuia tibi voli bine”.

L: “Tu vuoi bene solo agli arancini di Adelina: sei una materialista inveterato”.

M: “E chiana con chesta tirmina da radicalla scicca”.

L: “A me radical-chic non me l’ho mai detto nessuno: stai diventando un sovranista d’accatto”.

M: “E tu liggia truppa la Ripubblica… “.

L: “Voi poliziotti vi siete asserviti al vostro ministro ombra”.

M: “Ma quali ummira d’Egitta: stavi straparlanda”.

L: “E’ colpa tua: sai tirare da me il peggio”.

M: “Livi ura basta: stavi facinnna na scina madri”.

L: “Io sto a Genova più di 300 giorni all’anno: altri li passo in treno o in aereo o in pullman per venire da te: stiamo assieme pochi giorni e tu non mi porti mai da nessuna parte”.

M: “Ma che dicia se tri misa fa simo stata alli scava di Selinunta”

L: “Due ore… “.

M: “Sissi, ma simo stata bine”.

L: “Due ore… “.

M: “Ma che tinia? , havi prisa il Parchinsonne?”.

L: “Vedi, mi prendi pure per i fondelli: cornuta e mazziata”.

M: “Ni mazziate, ni cornute: te lo giura!”.

L: “Io questi giuramenti non te li posso fare… “.

M: “Che voli diciri?”.

L: “Quello che ho detto: poi non mi prendere in parola, sai noi che abbiamo il Parkinson abbiamo problemi ai neurotrasmettitori… “.

Una rumorata alla purta annunciai l’intrata in scina di Catarelle.

“Dutturi, dutturi, che billa fari Natali cu lia e cu la signurina Livi”.

Livi: “Io non sono signorina, Catarella”.

C: “Allura vi sita spusata: auguria!”.

L: “(…)”,

La cusa stiva diginiranda ma a sarvari omnes vinne la Rivilazione della divinitati: Adilina cumparsi con na spelunca de Arancina fumanti.

“Signurina Livi, che piaciri avirva accà in casi mea… “.

“Cara Aeilina, il piacere è tutto mio”.

Adilina: “Ah, havio la ricitta dell’arancina: accussì vuia putita farla al dutturi… “.

Livi (mbrunciata): “A che bello! E dove la trovo?”.

A: “Avita da accatarve un libbrera del Maistro Camillera: ma ura mi densa chista pizzina e per tanta vi la liggita”.

Livi si pigliai il pizzina e lessa, ‘Ecco la ricetta delle arancine, tratta da “Gli arancini di Montalbano” di Andrea Camilleri’.

«Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa (senza zaffirano, pi carità!). Lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ’na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!).

Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca. Ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!».

Dopo aviri litta la ricette Livi gardai a Muntilbano e li dissi: “Hai vinto ancora una volta, maledetto, ti amo”.

Muntilbano: “Ed ia ama tibi, ma lassa stari la ricette dell’arancina, chelle ce le faci Adilina. Boni Natali Livi”.

L: “Boni Natali, Salvu”.

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