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A Tokyo i tifosi del Napoli sono sbalorditi dall’assenza di inchino di scuse dei calciatori

La vita nomade di un tifoso azzurro tra il Giappone, Hong Kong, New York, Londra e Napoli: l’unica cosa che non cambia è l’abbraccio quando il Napoli segna

A Tokyo i tifosi del Napoli sono sbalorditi dall’assenza di inchino di scuse dei calciatori

Caro Napolista,

ti scrivo per pure ragioni terapeutiche: “devo sfogare”.

Assumo così, che tutti i tifosi del Napoli siano amici e che tu non mi possa negare assistenza o ascolto. Premessa, sono molto confuso, arrabbiato, in cerca di nuove certezze, in cerca di soluzioni che non ho, né ho l’obbligo di trovare.

Negli ultimi 40 giorni, per ragioni varie, ho viaggiato molto, Londra, New York, Tokyo, Hong Kong e Napoli. Per me andare a Napoli è viaggiare, da quando vivo a Londra.

Ogni viaggio viene sempre preceduto da un’attenta preparazione logistica e regole inflessibili. Non si viaggia il giorno in cui il Napoli gioca, mentre per il giorno dell’incontro ci si assicura di poter vedere la partita. La preparazione è minuziosa, scientifica, quasi maniacale. Con il biglietto aereo si prenotano, sedia, sgabelli, tavoli o angoli di muro, di bar, ristoranti o club dove si possa assistere alla partita, siano essere bettole, ristoranti stellati, o zone di confine . Non importa in quale lingua, se via cable, internet, oppure tv, purché vi sia questa possibilità. Sembra una cosa facile, ma in casi estremi, come a Honk Kong e Tokyo, si devono trovare gestori compiacenti, che siano disposti a tenere le porte aperte nelle ore della notte o primissima mattina.

In questo essere tifoso itinerante, pagatore di mance generose, si incontrano tifosi di tutti i tipi, accumunati da una unica “fede” che la distanza rende indelebile ed incondizionata, come dovrebbe essere una “fede”.

Fede vera, o pazzia totale? Mia moglie propende per la seconda posizione, mentre io propendo per una terza via, facendomi forza di vari manuali di sociologia, mi do un tono schierandomi per la tesi che sia l’applicazione di un concetto filosofico. Fate voi, perché c’è anche una quarta spiegazione più popolare, che parla di str****aggine cronica. Ipotesi che non voglio prendere in considerazione, anche se forse è la teoria più accreditata.

Ad ogni modo, in questo essere zingaro, si incontrano storie e persone strane e affascinanti, ma soprattuto modi molto diversi di approcciarsi al match, al mondo calcio, a seconda della latitudine.

Una cosa assolutamente comune è che io sono sempre il primo avventore. Mi presento nel luogo predestinato sempre in grande anticipo sull’ora “X”, che è l’ora di inizio della partita. Insomma arrivo due ore prima del calcio di inizio e sono costretto a consumare più dell’opportuno e del desiderato: due pizze, due burger, due sushi, due pranzi o cene, due bottiglie di vino e così via. Questa è stata la mia vita negli ultimi anni e in molti casi il peso di questo lento procedere verso livelli glicemici da ricovero mi è stato meno duro, perché tutto si riduceva ad una sola semplice logica: “non importa niente, perché il Napoli vince”. Non so se lo avete notato, ma negli ultimi 40 giorni il Napoli non vince più, anzi in maniere autolesionistica ha deciso di non vincere più.

Una serie interminabile di errori societari, manageriali, tecnici, di comunicazione, di “immagine” o più semplicimente di buon gusto, ci hanno fatto piombare in una spirale negativa di risultati, di gioco e di stile, che ha mi ha riportato al puro stile SCCN degli anni settanta. Un qualcosa che pensavo di aver debellato come la scabbia, ma da cui tutti, dentro e fuori l’ambiente, sembra di essere costretti a fare un richiamo di vaccinazione.

In tutto questo caos, parlare, urlare e litigare, la cosa che mi ha colpito è vedere come nel mondo i tifosi abbiano un approccio diverso nei confronti della situazione. Si fanno domande diverse e desiderano risposte diverse. Hanno, insomma, priorità diverse.

A Tokyo, in uno dei locali più puliti del pianeta, dove mi hanno servito piatti giapponesi che io ho provincialmente definito equivalenti all’insalata di polpo, insalata di mare e frittura di paranza, i tifosi locali mi chiedevano perché i giocatori non corressero sempre, si fermassero ogni tanto, anche solo per riprendere fiato, ma soprattutto perché non si fossero scusati con tanto di inchino pubblico dopo la faccenda del ritiro. Proprio non capivano come si possa “disobbedire” alle volontà del master unico. Nessuno si mi ha chiesto della situazione attuale di Insigne, di Ancelotti, e rispettive famiglie. Si capisce, “ma a Tokyo, che devono capire? Non e mica Sumo, questo”.

A New York, mi hanno chiesto perché la SCCN non abbia uno stadio di proprietà  come i grandi club d’ Europa. Ho cercato di spiegare le esigenze di budget e i limiti finanziari, la scelta di autogestirsi e quindi di dover allocare le risorse sulla prima squadra. Mi hanno guardato con imbarazzo e chiesto se idee come project financing, accordi finanziari con private equity per successiva quotazione a medio termine, oppure supporto da autorità ed imprenditoria locale per costruire impianti sportivi con soluzioni condivise, ma soprattutto incremento di fatturato tramite merchandising, siano concetti noti. Nessuno mi ha chiesto dei contratti in scadenza, anche perché da quelle parti i contratti vanno sempre rispettati fino alla scadenza. Eh già si capisce: “Ma che devono capire di queste cose a New York? Non è mica baseball, questo”.

A Hong Kong mi hanno chiesto perché non si sente l’incitamento del tifo del Napoli e soprattutto percheénon ci sono bandiere azzurre allo stadio. Perché i pochi tifosi presenti avessero le magliette diverse da quelle dei giocatori. Ho spiegato, arrampicandomi sugli specchi, di una situazione cittadina economicamente complessa, di disoccupazione e pay tv. Ho spudoratemente mentito, sapendo di mentire, “ma si sa, che devono capire ad Honk Kong? Non è mica dama cinese, questa”.

Infine lo scorso sabato, a Napoli, in “ Terra Mia”, ero pronto a soffrire e gioire con i miei Fratelli, i miei amici, la mia città. Ma nooooh, sorpresa, ho scoperto, per una bella ora di partita, che l’attuale sitauzione è tutta colpa del “pappone”, di un “pensionato” nepotista, di un manipolo di persone senza cuore, né professionalità. Ho scoperto che ci sono opinionisti su cui non è possibile avere un’opinione; critici, a cui non è possibile fare una critica; tifosi che meritano rispetto, competenze forensi, manageriali, calcistiche in tuttologhi televisivi.  Mi sono confuso ancora di più, non ho capito chi fosse chi, né i ruoli e le responsabiltà. La sola cosa che maledettamente mi interessava era che il Napoli stava perdendo, purtroppo meritatamente. Poi, Zielinski ha segnato e tutti hanno urlato. Tutti hanno gioito, tutti ci hanno creduto. Ho pensato che stavamo esultando proprio come quelle persone di Tokyo, Hong Kong e New York. Mi sono ricordato che il calcio è un “gioco” di squadra, che è soggetto a condizioni e condizionamenti ambientali, e che il risultato è sempre la sintesi di tante variabili, il collante di tanti attori, registi, comparse, e spettatori. Tutti con compiti semplici, ma chiari. Ma si sa: “eh che ne devo capire io; io ormai vivo a Londra? Non è mica cricket, questo.”

Forza Napoli “Sempre”

PS. detto tra noi, il baseball, il cricket, il sumo e pure la dama cinese sono un palla stratosferica.

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