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Lukaku: “Bisogna essere duri con i razzisti. Un razzista può influenzare centinaia di persone”

L’attaccante nerazzurro intervistato dal CorSport: “Conte è un leader e noi giocatori lo seguiamo pensando solo alla squadra. Zlatan ha la dog mentality: non molla mai la presa”

Lukaku: “Bisogna essere duri con i razzisti. Un razzista può influenzare centinaia di persone”

Sul Corriere dello Sport un’ampia intervista a Romelu Lukaku. Due pagine dense, da cui emerge il ritratto di un calciatore dedito soprattutto al lavoro, consapevole della fatica necessaria per emergere. Un uomo dalle idee chiare, attento anche ai dettagli dei rapporti umani.

Soprattutto, uno che mette davanti a se stesso la squadra.

«La mia più grande motivazione è aiutare la squadra e i compagni a vincere le partite segnando. Come ho fatto in questi primi tre mesi. Punto in alto, ma non mi dimentico di lavorare, di spingere al massimo ogni giorno in allenamento».

Sulla Serie A:

«Più la frequento e più trovo le zone del campo dove posso essere efficace. Mio fratello Jordan mi aveva parlato di un grande campionato che mette alla prova gli attaccanti. Qui ci sono i migliori difensori e da voi ogni difesa è preparata per qualsiasi situazione di gioco. Per questo il calcio italiano mi piace così tanto. In tv ne guardo molto e in ogni match imparo qualcosa di nuovo a livello tattico. Idem dal lavoro di Conte. Se un attaccante segna tanti gol in Italia può farli in qualsiasi altro torneo d’Europa».

Dice di essere cresciuto molto tatticamente, da quando è all’Inter, perché finora aveva sempre giocato come unico attaccante, mentre ora ha al suo fianco gente come Lautaro, Sanchez, Esposito ePolitano.

«Con loro l’intesa migliora continuamente, devo solo memorizzare i movimenti giusti. Non posso improvvisare o muovermi ascoltando il mio istinto come facevo in Inghilterra: devo essere sincronizzato con il resto della squadra per essere nella giusta posizione, ricevere la palla e mettere in difficoltà gli avversari».

Anche quando gli chiedono se sia possibile arrivare a vincere la classifica dei marcatori chiama in causa l’importanza della squadra.

«Non sono il tipo di giocatore che dice voglio questo o quel titolo individuale. Io penso prima alla squadra».

Il suo lavoro, dice, è fare bene in campo.

«Appena sono arrivato qua ho iniziato a osservare con attenzione i miei compagni, ho parlato parecchio con il tecnico di ciò che dovevo fare e ho lavorato molto con il preparatore atletico».

Per le prime tre settimane ha seguito la scheda di lavoro preparata dal club,

«e giorno dopo giorno mi sentivo sempre meglio. Adesso posso dire di essere al 100%, ma non mi fermo».

Ammette che non si aspettava di raccogliere così in fretta l’affetto dei tifosi

«Per me è importante guadagnarmi il rispetto non solo della gente, ma anche dei miei compagni. Quando sono arrivato, anche se non capivo qualcosa, ho chiesto loro di parlarmi in italiano e dopo una due settimane parlavo bene la vostra lingua. Mi ha aiutato ascoltare le telecronache delle partite di mio fratello, ma mi hanno aiutato soprattutto le motivazioni».

Il suo desiderio, dice, è sempre stato quello di giocare nell’Inter. Era un grande tifoso di Adriano e di Ronaldo

«Credo di assomigliare ad Adriano: anche lui era grande, grosso, veloce e mancino. Guardavo le sue partite con l’Inter e sognavo di essere come lui. Mi ricordo che contro l’Udinese fece un gol incredibile. Mi ero ripromesso che se un giorno avessi avuto l’opportunità di giocare in Italia sarebbe stato solo per l’Inter. Quello che ho voluto finora si è sempre verificato. Ringrazio Dio di avermi aiutato in tutto».

Di Conte dice di ammirare il fatto che voglia vincere sempre

«Trasmette grandi motivazioni e prepara le partite alla perfezione. Mai vista una cosa così in tutta la mia carriera: quando vado in campo con lui, sono pronto per qualsiasi situazione. Non ne esiste una che può coglierci di sorpresa. Conte è un leader e noi giocatori lo seguiamo pensando solo alla squadra. Quando è contento te lo dice, ma se le cose non gli piacciono ed è arrabbiato non lo nasconde. Per un calciatore è importante sapere quando sta facendo bene e quando invece sbaglia».

Non molto diverso da Mourinho, almeno come approccio. Lukaku li indica come i migliori allenatori che abbia avuto e si dice certo che Mou vincerà qualcosa anche con il Tottenham

«Perché Mourinho ha vinto ovunque. E’ un top coach, ha calciatori molto forti, uno stadio fantastico e tifosi caldi. Insomma, ci sono i presupposti per togliersi delle soddisfazioni».

Racconta che il passaggio dallo United all’Inter non è stato difficile, che il club inglese lo ha supportato nel momento in cui lui ha comunicato di voler andar via. Niente guerra, piuttosto una decisione condivisa.

«Per questo i dirigenti dello United e Solskjaer avranno il mio eterno rispetto».

Di Icardi, del quale ha raccolto l’eredità dice:

«Il paragone con Icardi non mi ha assolutamente creato problemi di nessun tipo. Mauro con i suoi gol ha fatto grandi cose per l’Inter e quando sono arrivato qui è stato molto gentile. Abbiamo parlato come colleghi, mi ha dato il suo benvenuto ed è stato carino con me».

Nessuna pressione a prendere il suo posto, si tratta di due storie diverse.

Su Ibrahimovic:

«Zlatan è un guerriero. Ci somigliamo davvero perché entrambi abbiamo affrontato nella nostra vita circostanze difficili fin da bambini e quando parliamo ci capiamo al volo. Lui fuori dal campo è uno dei tre giocatori più intelligenti che abbia incontrato. Non tutti lo sanno, ma mi ha aiutato tanto quando sono arrivato allo United: si sedeva in fondo al pullman della squadra con me, parlavamo molto e mi dava consigli. Se non si fosse infortunato, giocare in coppia con lui sarebbe stato perfetto. Anche adesso è fortissimo, ha qualità da campione e soprattutto ha quella che noi chiamiamo “dog mentality”, la mentalità di uno che non molla mai la presa. Credo che tornerà in Serie A».

Non si sbilancia sulle possibilità che ha l’Inter di vincere lo scudetto, dice che bisogna pensare solo alla partita con il Torino e di pensare anche alla Champions.

Sul razzismo:

«Il razzismo nel mondo del pallone non è qualcosa che si può negare. Bisogna essere diretti, agire in modo duro, come succede in Inghilterra. E’ l’unico modo per espellere i razzisti dal sistema. Nella vita di tutti i giorni, quando sono per strada o nei negozi, non mi ero mai sentito così bene come adesso in Italia. Lo stesso la mia mamma e mio figlio: a Milano stiamo benissimo. Lo dico senza voler togliere niente all’Inghilterra dove ho trascorso anni meravigliosi. Tra il campo e la vita di tutti giorni qui da voi c’è una grande differenza. Per questo bisogna essere duri con i razzisti, mettere telecamere negli stadi puntate sugli spalti per capire chi si comporta in un certo modo e non farli più entrare. E’ l’unico modo. Un razzista può influenzare centinaia di persone».

L’Italia sta facendo abbastanza contro il razzismo?

«Usare le telecamere negli stadi è un buon punto di partenza. Ripeto: bisogna identificare i razzisti ed espellerli a vita. In Inghilterra hanno iniziato così e hanno risolto il problema».

 

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