L’ultimo film di Vittorio Alfieri, un noir con venature comedy di ambiente torinese che è liberamente tratto da un fatto di cronaca del 1996
“Gli uomini d’oro” il film di Vincenzo Alfieri che è al cinema in questi giorni è un noir con venature comedy di ambiente torinese che è liberamente tratto da un fatto di cronaca del 1996 proprio nella città sabauda: una rapina ad un portavalori delle Poste da cui l’intellettuale Bruno Gambarotta ha tratto un suo titolo – “Il colpo degli uomini d’oro. Il furto del secolo alle Poste di Torino (Manni)”.
C’è Luigi Meroni (Giampaolo Morelli) che fa il travet di un portavalori: è un napoletano quarantenne che per tre mesi – causa la Riforma Dini – non riesce ad andare in pensione anticipata ed ha una storiella con Anna (Matilde Gioli) che sogna di avere un Salone di bellezza tutto suo. Ha la fissa di una rapina che possa dargli modo di fuggire in Costarica per darsi al sole ed alle belle donne. Il suo collega di lavoro Alvise Zago (Fabio De Luigi), torinista, con il doppio lavoro per dare più futuro alla figlia ed alla moglie e con già qualche bypass al cuore ha in odio Meroni.
C’è poi l’amico di Luigi, il pugliese Luciano Bodini (Giuseppe Ragone), che in pensione anticipata ci è riuscito ad andare ed è un juventino sfegatato. Quarto in questa crime story alla Bicerin è Lupo (il sempre più bravo Edoardo Leo), ex pugile, socio di Zago in un pub, che fa il recupero crediti per Boutique (Gianmarco Tognazzi) ed ha come compagna la bomba sessuale Gina (Mariella Borriga).
Questo panorama umano variegato sortisce il tentativo della rapina che vede la mente in Alvise ed il motivatore in Luigi, mentre Luciano e Lupo sono gregari. La rapina – mentre la Juve batte il Nantes in Coppa Campioni 1 a 0 – riesce e gli esiti – nella tecnica asincronica di intreccio dei punti di vista dei protagonisti – sono non prevedibili.
Quello che resta è la certezza che noi italiani possiamo fare un noir con ritmo americano e con contenuti nostrani: un prodotto che accompagnato da una buona fotografia (Davide Manca) e buone musiche dell’epoca (Francesco Cerasi) non ha nulla da invidiare alle true stories americane,