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Sì Ancelotti, lei è sotto attacco. Come tutti quelli che non accettano il sistema Italia

Il suo dilemma è il dilemma delle persone cui è stata stretta la loro terra d’origine. Qui si combatte contro i mulini a vento e una distesa di mediocrità

Sì Ancelotti, lei è sotto attacco. Come tutti quelli che non accettano il sistema Italia

Di fronte al dilemma dinanzi al quale si trova oggi Ancelotti ci siamo finiti tutti noi cosiddetti expat, emigranti, che abbiamo qualche ambizione piccola, rispetto al grande allenatore, di conoscere il mondo. Ché Reggiolo, come Napoli, ci stava stretta. Forse per questo lo abbiamo amato e continuiamo ad amarlo come uno straordinario rappresentante di questo microcosmo di diseredati – come lui vorremmo essere degli sradicati e dei sorridenti, come questo adogmatico signore diventare gagliarde rockstar anche se non più giovanissime. Il dilemma è se valga la pena restare. In Italia, nel calcio, in uno stivale nazionale in cui uno dei maggiori quotidiani del paese pubblica un articolo dal titolo “Balotelli ci ricasca” per raccontare il dito medio di un giocatore insultato per novanta minuti in un modo infame, nella consapevolezza che ciascuna di quelle ingiurie vigliacche verrà derubricata a folclore e ogni tentativo di discuterne sarà tacciato di buonismo. Una cappa di orrori difesi a spada tratta.

Ha senso rimanere in Italia, ha senso sostare a Napoli a fronteggiare la cafonaggine di un calcio strutturalmente trappano e fiero di esserlo, come lo ha giustamente apostrofato il presidente De Laurentiis? Ha senso dover quotidianamente misurare le risposte contro una valanga di addetti ai lavori e tifosi di una pervicace incompetenza – la partita degli azzurri contro l’Atalanta certifica, infatti, la sostanziale incapacità di questa città di capire il calcio, immersa nella delirante autoconsapevolezza illusoria di essere una piazza di esperti? Ha senso rimanere e lavorare per tenere costantemente il punto e poi scoprire l’ovvio, ovvero che il VAR è naufragato come era ovvio che accadesse, perché storicamente non esiste un artificio tecnico che possa creare un valore sociale, un senso etico o una semplice attenzione ai diritti e ai doveri se non esiste un impiego umano, dei singoli, a cambiare?

Carlo Ancelotti si sente sotto attacco. E lo è. Il fuoco parte da ogni dove. È il fuoco che questa nazione e questa città riservano ad ogni straniero, a qualsivoglia estraneo, a ciascun expat che lavorando osservi semplicemente il suo “Non sono d’accordo”, che con una testimonianza professionale o umana, piccola o grande, provi a piantare un paletto nel terreno e dire: “È possibile fare diversamente”. Del fuoco amico ci si stanca, soprattutto ci si stanca delle forze profuse ad ottenere nulla, a non smuovere un granello di sabbia. Ci si dovrà rialzare la mattina seguente a cavillare sul braccio più o meno largo dell’attaccante, sul perché tizio venga preferito a caio, sul motivo per cui destabilizzi la tranquilla vita di milioni di persone quando non assegni undici titolari ma ruoti la rosa. Al termine di queste battaglie contro i mulini a vento sarai chiamato a parlare con un arbitro scadente cui però questo mondo di mediocri ha assegnato un potere enorme. Così passerai di mediocre in mediocre e la loro voce ti dirà che hai fallito perché hai fatto poco, meno dell’atteso. Hai sbagliato troppo. Ti trinceri dietro al tuo curriculum. Sei in crisi senile. Non capisci più la terra da cui sei partito. Hai osato provare ed hai dimenticato da dove provieni. Hai risposto agli insulti e ci sei ricascato. Ha senso questo investimento?

Caro Ancelotti, noi, molto più piccoli di lei, ancora non abbiamo una risposta definitiva. Da lontano le vogliamo bene perché mantiene viva una speranza e da questi attacchi la sosterremo fino a qualunque estrema conseguenza. Ma se ne valga la pena non è dato sapere. C’è il dubbio che forse non sia così. Ciò detto, saremo a sostenere lei e questa squadra ovunque ci verrete a trovare, in giro per il mondo. Dove ancora un signore lo si riconosce da pochi inconfondibili gesti.

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