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Libero sui giocatori pro Turchia: lo fanno perché ci credono o temono ritorsioni?

E intanto le società (e la Uefa) tacciono. Meglio sorvolare, per non irritare gli islamici

Libero sui giocatori pro Turchia: lo fanno perché ci credono o temono ritorsioni?

Lo sport si trova invischiato nella politica, nella guerra in Siria. Con la Turchia di Erdogan che vuole annientare i curdi. E la politica non gli viene in aiuto, scrive Tommaso Lorenzini su Libero,

“in una partita ben più grossa di un pallone che rotola”.

C’è stato il caso del saluto militare della nazionale turca dopo il match contro l’Albania. Demiral e Under schierati sui social a favore della guerra. Anche il milanista Calhanoglu, dopo il pareggio con la Francia, ha pubblicato l’immagine di un soldato turco che accarezza una bambina scrivendo:

“Giochiamo a pallone, ma siamo al 100% con la nostra nazione. Anche se non sempre è tutto bello”.

Tutte prese di posizione che hanno indignato gran parte dei tifosi. Mentre le società tacciono.

“Cosa succede stavolta? Quando si tratta di condannare gli stupidi “buu”, i cori razzisti, o i saluti romani la solerzia è scontata. Stavolta che ci sono di mezzo gli islamici meglio sorvolare per non irritarli. Mamma li turchi. Si dribbla, si aspetta che il tempo passi, tanto il tifoso ha memoria corta”.

Alla richiesta di togliere a Istanbul la finale di Champions, il vicepresidente della Uefa, Michele Uva, aveva risposto che non si può bypassare l’Onu e la Commissione Europea:

“La revoca sarebbe un atto forte e penso che adesso non siamo nelle condizioni di poterne parlare”.

Come a dire, scrive Lorenzini,

“insomma il 30 maggio è lontano, si può aspettare, anche perché è un affare che muove 400 milioni di euro e ne porta in dote una cinquantina alla città che ospita. State buoni, no? Non facciamo arrabbiare il sultano Erdogan”.

Ieri Ceferin, presidente Uefa, ha diramato una nota sui cori razzisti contro i giocatori inglesi durante la partita con la Bulgaria, ma non ha detto nulla dei turchi.

Solo dopo è arrivata la notizia dell’indagine sul sostegno alla guerra in Siria:

“Comportamento politico potenzialmente pericoloso”.

Anche i calciatori, scrive Lorenzini, hanno diritto ad avere opinioni politiche personali, ma in questo caso si tratta di dare l’appoggio a governanti e soldati che hanno invaso un altro paese per sterminare un intero popolo. E allora occorre domandarsi:

“i giocatori lo fanno perché ci credono? O perché temono ritorsioni, in un regime dove lo sport è strumento di propaganda, consenso, potere (ne sappiamo qualcosa in Italia)?”

Chi ha avuto il coraggio di opporsi, come l’ex interista Hakan Sukur, ha avuto la peggio. Sei anni fa ha contestato Erdogan ed è dovuto fuggire in California con la sua famiglia. Gli sono stati sequestrati i beni. E il cestista dei Boston Celtic, Enes Kanter, non vede i parenti da 5 anni. Minacciato di morte, lui e i suoi fratelli. Hanno tentato di rapirlo e hanno imprigionato suo padre.

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