Sul Giornale la storia di Eduard Strel’cov, il Pelè russo che sfidò il Cremlino
Il regime non gli perdonò il rifiuto di trasferimento nelle squadre care al potere, lo attirò in una trappola e lo spedì in un gulag. La Torpedo gli ha intitolato lo stadio

Nel 1958 rifiutò il passaggio sia al CSKA Mosca (squadra dell’Armata Rossa) che alla Dinamo (quella del KGB). Accusato per una finta violenza sessuale fu condannato ai lavori forzati in un gulag in Siberia. Nel ’65 tornò a giocare nella Torpedo, portandola al titolo
Il Giornale racconta la storia di Eduard Strel’cov, attaccante di talento che giocò nella Torpedo Mosca diventando cannoniere e idolo delle folle. Era definito il Pelé sovietico, in quanto attaccante più forte in circolazione.
A 21 anni era bello, alto e possente, “con un volto da adolescente incorniciato da riccioli chiari”. Era adorato dalle ragazze di tutta la Russia.
Rifiuta il trasferimento allo Spartak, il club del popolo, alla Lokomotiv di proprietà del Ministero dei Trasporti, al Cska, la squadra dell’Armata Rossa, e alla Dinamo, la squadra del Kgb. Un rifiuto che al partito proprio non piace.
Strel’cov non vuole lasciare la Torpedo, il club delle rappresentanze sindacali della Zil, una piccola industria che produce autobus, blindati, motoslitte e un numero limitato di limousine e berline destinate ai rappresentanti del governo.
I dirigenti della fabbrica lo avevano scoperto quando aveva 15 anni e aggiustava motori sognando di comprarsi una moto per conquistare le ragazze. Quando finiva il turno andava a giocare sul campetto dietro la fabbrica con gli altri. Era uno spaccone, ma con la palla tra i piedi un fenomeno.
La Zil gli offre un aumento della paga se accetta di giocare nella squadra della fabbrica. Lui rifiuta, poi accetta in cambio di una moto in regalo.
Ma ci resta poco, perché arrivano quelli della Torpedo, che gli offrono più soldi e una Izh-56 da sogno. Con il club inizia a battere tutti e a soli 17 anni è capocannoniere.
Ma il regime non ammette il rifiuto opposto ai grandi club della capitale. Lo considera una macchia indelebile. Non lo vuole vedere nemmeno in campo. E così prepara una trappola.
Il pomeriggio del 25 maggio del 1958, quando la Nazionale è in ritiro premondiale, Strel’cov esce, non si è mai saputo se autorizzato o meno, e va ad una festa nella dacia di Eduard Karakhanov, un militare reduce dalla campagna in Medio Oriente. Ci sono le autorità, la stampa e anche Yekaterina Purtseva, l’unica donna presente nel Politburo di Krusciov, in compagnia di sua figlia, perdutamente innamorata di Eduard.
La donna gli chiede se sposerebbe sua figlia ma lui dice che ha già una fidanzata. Poi, ad un amico, alla festa, racconta il dialogo con la Purtseva e dice di aver visto la foto della figlia sui giornali e che assomiglia a una scimmia.
Ma ci sono troppe orecchie in agguato e così, quando rientra di notte in ritiro, viene arrestato con due compagni di squadra con l’accusa di abuso sessuale sulla diciannovenne Marina Lebedeva durante la festa.
Lo costringono a firmare una confessione in cambio della libertà di andare a giocare al Mondiale. Lui ci casca e firma. I suoi compagni vengono liberati, lui, invece, viene mandato in un gulag a meno 15 gradi a Tula in Siberia.
Quando torna, dopo sette anni, riprende a giocare nella Zil sotto falso nome. Porta la squadra a vincere il campionato ma nelle partite importanti resta in panchina perché la dirigenza ha paura che il regime si accorga della sua presenza.
Poi riceve da Brezhnev l’autorizzazione a scendere in campo. Nel 1965 gioca ancora con la Torpedo, vince il campionato, è il miglior giocatore russo per due anni consecutivi, segna altri 53 gol.
“Il più grande inganno nella storia del calcio russo. Eduard c’ha lasciato per un cancro alla gola contratto mentre lavorava in miniera a estrarre il quarzo, ancora oggi ogni colpo di tacco in Russia si chiama Streltsov. Decine di gol accarezzando la palla in mezzo all’area dove non lo spostavano neppure i carroarmati, la Torpedo gli ha intitolato lo stadio, due monumenti lo ricordano a Mosca e sulla sua tomba sempre fiori freschi lasciati dalla Lebedeva, anche lei solo una pedina”.
FOTO DA IL GIORNALE