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Le 10 cose di Napoli-Cagliari che non potremo dimenticare

Le dodici conclusioni di testa dopo sei anni di “piccoletti” davanti. Il tiro di Koulibaly in fallo laterale. I palloni persi da Allan: il 40% del totale. Una serata che assomiglia a un trauma

Le 10 cose di Napoli-Cagliari che non potremo dimenticare

Anche in una serata che in realtà non vorremmo ricordare, spuntano (almeno) dieci cose che non riusciremo a dimenticare. Ecco quelle di Napoli-Cagliari. 

Il prato del San Paolo. Un deserto gibboso pieno di ciuffi fuori posizione come un difensore centrale su un cross da sinistra. Non era così malridotto da anni. Senza neppure che siano venuti i Rolling Stones. O i lavori di ristrutturazione prevedevano un peggioramento dell’erba oppure questo è un mistero. Un altro. 

Il chewing gum di Ancelotti. Il nervosismo e la tensione di Carletto scaricate su quello straccetto tra i denti a cui non ha dato tregua per tutta la partita. Mascelle attivissime. 

I palloni persi da Allan. Ha perso da solo il 40% dei palloni di tutta la squadra. È come se il brasiliano stesse recuperando la memoria dei suoi vecchi limiti che parevano superati. Da un anno e mezzo a questa parte, per intenderci dopo l’affare Psg, si vede il vero Allan solo quando il Napoli è in vantaggio. È del tutto a suo agio solo quando c’è da conservare il risultato. Quando si costruisce, ha bisogno sempre di un tocco in più, e spesso lo sbaglia. 

I due mezzi pali di Mertens. Vuoi vedere che abbiamo riaperto l’album della collezione?

La mezza profezia di De Laurentiis. Lo pre-sentiva, il capitombolo post Champions. Lo aveva intuito. Pensava che potesse succedere a Lecce e aveva fatto un tweet. Forse ci voleva un tweet pure prima del Cagliari. 

La parata di Olsen su Insigne. Faccia a faccia in area su tocco ravvicinato, una parata da scuola tecnica tedesca, con il baricentro basso, le braccia larghe, un gesto mutuato dalla pallamano. 

Il ghiaccio di Llorente. Si tratti del Liverpool o si tratti del Cagliari, interpreta la partita allo stesso modo. Protegge il pallone e apre le difese chiuse a scatoletta. L’ultimo giocatore che perdeva meno palloni di Llorente coi gomiti sistemati nel modo giusto era Salvatore Bagni. 

Gli svirgoloni in attacco di Koulibaly. Quando entra nel secondo tempo, Ancelotti gli chiede di uscire dalla difesa palla al piede e di aprire il gioco sugli esterni tutte le volte che può. Nei 45 minuti scarsi che trascorre in campo tira in porta 4 volte. Una finisce in fallo laterale, in un’altra occasione è solissimo davanti alla porta e sbaglia. Gli chiamano fuorigioco, ma se l’avesse buttata in porta il Var avrebbe convalidato.

Le capocciate. Dodici conclusioni in porta di testa. Un dato storico, probabilmente inedito dopo un ciclo di sei anni con “i piccoletti” davanti. Quattro sono arrivate da Llorente, due da Koulibaly e altrettante da Callejon e Manolas, una ciascuno da Milik e Di Lorenzo. Ma la capocciata che non riusciremo a dimenticare è quella di Castro. 

L’errore di Manolas sul gol. È posizionato male nella linea. Tiene male le distanze e tiene in gioco Castro, apre un buco nel cuore dell’area. È inutile che si volti a sbuffare verso il lato da cui è partito il cross. I gol li segna quello che colpisce la palla. 

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