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Capisco le ragioni di Ancelotti ma senza risultato non è sport

Da buon psicologo teme l’insidia del contraccolpo negativo dopo il Cagliari. Non tutto è perduto, ma ora il cammino è in salita

Capisco le ragioni di Ancelotti ma senza risultato non è sport
Hermann / KontroLab

“L’errore più grande che possiamo commettere è farci condizionare dal risultato”. Questa affermazione francamente mi fa venire l’orticaria. È parte di una fraseologia nella quale spesso si rifugiano i tecnici delle squadre di calcio. Per caratterizzare i dissenzienti addirittura fanno capolinea arguti neologismi quale risultatismo. Voglio a tal riguardo dire chiaramente il mio modo di vedere. Il risultato è il senso ultimo, e forse unico, di ogni sport. L’atleta che corre i cento metri o fa il salto in alto che obiettivo ha se non vincere?
E il ciclista o il maratoneta quale obiettivo hanno se non ottenere un buon risultato? Nel calcio poi manco a parlarne. Questo meraviglioso sport vive e prospera nel mondo grazie a milioni e milioni di appassionati. I quali scelgono una squadra per la quale fare il tifo. E le chiedono una cosa soltanto: il risultato.
Le campagne acquisti hanno l’obiettivo di migliorare i risultati.
Gli allenamenti, gli schemi, le tattiche vengono studiate con un unico obiettivo, ottenere la vittoria. Cioè il risultato. Gli sponsor investono più risorse soltanto se ottieni buoni risultati.
Capisco le ragioni delle dichiarazioni di Ancelotti. Da buon psicologo teme l’insidia del contraccolpo negativo sul morale dei suoi calciatori conseguente alla rovinosa sconfitta con il Cagliari. Sconfitta che ascrivere ad un destino avverso non è sbagliato. Incredibile il numero delle occasioni da goal create. E sciupate. I sardi per 44 minuti del secondo tempo non sono usciti dall’area di rigore. Ma pur sempre di una sconfitta si tratta. Il supposto, e da molti sbandierato, vantaggio su Juve e Inter derivante dalla continuità della guida tecnica degli azzurri a fronte di vere e proprie rivoluzioni si è dimostrato una bufala. Almeno sulla base dei risultati conseguiti nelle prime cinque partite da Juve, Inter e Napoli. Lo ho già detto. Lo ripeto.
Il Napoli ha perso due partite su cinque gare. E ha già sei punti di distacco dall’Inter capolista e quattro dalla Juve. È vero che cinque partite sono poche. Ma se si considera che le squadre che vincono il campionato perdono, in media , 3.5 partite soltanto, il Napoli sembrerebbe, aver già bruciato quasi l’intero capitale di sconfitte sopportabili.
Ebbene come si fa a credere, con questi dati al contorno, che sia possibile non farsi condizionare dal risultato nel dare giudizi o fare pronostici?
Ma allora tutto è perduto? Il campionato del Napoli, in prospettiva scudetto, è chiuso quest’anno addirittura a settembre? Assolutamente no è la mia risposta. Però senza dubbio è diventato un torneo tutto in salita. Ad handicap. Dico comunque che non tutto è perduto senza evocare il detto triste e fatalistico Spes ultima dea.
La squadra ha grandi potenzialità e risorse tali da poter aspirare a compiere l’impresa di risalire la china. E lottare fino in fondo. Conditio sine qua non… ottenere moltissimi risultati.

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