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Boateng: “Contro il razzismo serve l’ora di integrazione a scuola”

Bella intervista a Repubblica: “Parliamo più di un gol di Ronaldo che di quel che accade in Egitto, delle guerre. Ci siamo assuefatti al male. Ero un testa di c…, sono cambiato”

Boateng: “Contro il razzismo serve l’ora di integrazione a scuola”

Repubblica intervista Kevin Prince Boateng, approdato quest’estate alla Fiorentina.

Racconta la sua infanzia passata giocando in strada, a Berlino:

“Il mio era un quartiere pericoloso, ma lo amo perché mi ha insegnato tante cose nella vita. E poi all’epoca pensavo fosse il paradiso, solo più avanti ho capito che era duro e triste. Vivevo con mia madre, che faceva la badante, mio fratello maggiore George e le mie tre sorelle. Mio fratello Jerome l’ho conosciuto che avevo 10 anni. Torno spesso dove sono nato, per capire cosa ho raggiunto nella mia carriera. Ritrovo persone che sono felici per me e altre gelose perché ce l’ho fatta. Lo avverto. Solo due amici mi sono rimasti accanto, gli altri li ho persi per strada, fanno una vita diversa dalla mia. Il calcio mi ha salvato, mi ha portato via da tutto questo”.

Racconta che ha avuto un rapporto difficile con il padre, andato via di casa quando lui era piccolo ma che, nonostante restino le cicatrici, oggi prova ad avere con lui un rapporto normale.

Fu proprio il padre a regalargli le prime scarpe da calcio, quando aveva 7 anni. Erano un paio di Adidas Predator nere:

“Le persi sul treno di ritorno. Piansi per giorni. Chiamai mio padre, mi disse che non c’erano altri soldi. Allora presi le scarpe di George, erano enormi, dovevo usare un doppio calzino. Dopo qualche mese arrivarono le scarpe nuove, un paio di Puma King”.

Si è mai pentito di qualcosa?

“Torno indietro e dico: non ho preso il calcio come un lavoro. Ero una testa di c…o. Avevo talento, ma mi allenavo il giusto, un’ora in campo, ero l’ultimo ad arrivare e il primo ad andare via. Stavo fuori con gli amici. Avevo soldi, ero il re del quartiere. Non sono mai stato in palestra. Questo ti cambia la carriera, dopo. Ho comprato tre macchine in un giorno quando ero al Tottenham: Lamborghini, Hammer e Cadillac. Ai giovani dico: non puoi comprare la felicità. Io non giocavo, avevo problemi familiari, ero fuori rosa. Cercavo la felicità nelle cose materiali: la macchina ti fa felice una settimana. Ne ho comprate tre per essere felice tre settimane”.

E poi ci sono i cori razzisti. Sei anni fa Boateng lasciò il campo, durante Pro Patria-Milan, per i buu contro di lui. Adesso è capitato a Lukaku:

“Ma penso anche al bambino di tre anni preso a calci a Cosenza per il colore della sua pelle, è l’episodio che mi fa più male. I cori allo stadio vogliono ricordarci quando i nostri nonni erano schiavi. Ma chi fa quei cori, prima che razzista, è un ignorante. E l’ignoranza va abolita. A scuola, introduciamo un’ora di integrazione: dobbiamo ripetere ai bambini che siamo tutti uguali. Loro sono il nostro futuro”.

Per i suoi figli dice di immaginare un mondo in cui non ci sia assuefazione al male

“Parliamo più di un gol di Ronaldo che di quel che accade in Egitto, delle guerre, dei morti. Quasi non facciamo più caso alle tragedie”.

Fa ancora delle bravate?

“La più grande cazzata che posso fare è quando supero il limite di 50 kmh in macchina. A 55 mi sento già pazzo”

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