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Perché nella cerimonia di apertura delle Universiadi non si è dato spazio a Pino?

Diverse le scelte musicali che hanno lasciato fuori il ‘Neapolitan Power’ che ha fuso, in quarant’anni di storia musicale, la melodia partenopea con blues, jazz, funk e rock

Perché nella cerimonia di apertura delle Universiadi  non si è dato spazio a Pino?

Olimpiadi in miniatura

Chi ha avuto la pazienza di aspettare la scapigliata sfilata degli atleti, divisi per “sovranismi” come sempre, dal più piccolo stato africano all’Italia ospitante e abbondante, ha visto più che uno spettacolo coreografico tipo repubblica popolare cinese o realismo da ex cortina di ferro, un’interpretazione naïf ed ecocompatibile dell’evento. L’ouverture è appannaggio della sirena Partenope, che si muove sinuosa  tra le onde azzurre del mare, e di uno stadio bello e rifatto.

I miti e i fischi.

La freschezza della scenografia precede il greve dei saluti, sibili d’ordinanza compresi per sindaco e governatore, sotto gli occhi di Mattarella. Difficile scansarsi dal clima che viviamo e dai lapilli nazionalistici. C’è anche una politica estera del fischio, che non risparmia, tra l’imbarazzo generale, Francia e Germania. Il cronista televisivo si chiede dispiaciuto perché. Facile. Se dobbiamo fare la guerra con transalpini e teutonici, come la Lega predica ogni giorno, è logico che l’Europa carolingia se la prenda a male e che non goda di simpatie nell’opinione pubblica italiana.

Oltre i confini.

Quindi, viva la freschezza dei ragazzi, che hanno viaggiato per il mondo, Schengen compresa, per darsi appuntamento al Molo Beverello (traffico e corsie preferenziali permettendo). Non amano stare al chiuso dei confini e tutte le volte che possono lo dimostrano. Alloggiati sulle navi da crociera, hanno consentito stavolta che si ricostruissero impianti sportivi più che costruire orribili villaggi di gioventù.

Grazie ragazzi, anche per le divertenti trovate della sfilata. Gli argentini, con ironica ruffianeria mostrano la maglia numero “10”. I brasiliani indossano una mise da cuoco come omaggio all’italian food e alla pizza. Gli svizzeri ironizzano sulla loro risaputa precisione camminando e danzando nel massimo disordine. Sarà per Cavani o chissà, ma “Napoli, l’Uruguay ti ama”.  Infine, il San Paolo che non si smentisce: una vera ovazione per la bellissima Erikah Seyama, Regno di Eswatini, saltatrice con l’asta ed  esaltatrice degli umori da stadio. Star imprevista del kolossal ideato da Marco Balich, guru degli eventi olimpici.

A dispetto dei cori razzisti negli stadi, esplodono i giochi di luce su un Vesuvio elettrico e tridimensionale. Come dire, l’oggetto della mala sorte, usato per offendere, elevato a bellezza.

E Pino Daniele?

Non indovinate, invece, le scelte musicali. A parte l’indiscussa bravura di Malika Ayane, Anastasio, Bocelli e il richiamo patriottico di “Un italiano vero” del Toto nazionale (resuscitata anche “Gloria”, pezzo forte di Umberto Tozzi), non si è dato spazio al mitico ‘Neapolitan Power’ che ha fuso, in quarant’anni di storia musicale, la melodia partenopea con blues, jazz, funk e rock. Un’inspiegabile mancanza, a cominciare da Napul’è, che sarebbe stata azzeccatissima per l’occasione e avrebbe fatto cantare l’intero stadio sulle note del brano più suggestivo di Pino Daniele. Il format nazionalpopolare ha oscurato, invece, la vena più creativa della musica partenopea. Come mangiare a Napoli la “bolognese”, trascurando il “sauté di frutti di mare”.

Ospiti per la chiusura del 14 luglio The Jakal, Clementino, Mahmood. Come in un varietà del sabato sera.

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