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Sarri: «A Milano molti giocatori sono passati da qua a là. Il sarrismo è un modo di giocare a calcio, e basta»

L’intervista a Vanity Fair: «Chi vince, resta ferma nelle sue convinzioni. Quando cominci a vincere, le scaramanzie finiscono. Non sono un integralista, non esistono i sottovalutati».

Sarri: «A Milano molti giocatori sono passati da qua a là. Il sarrismo è un modo di giocare a calcio, e basta»

Oggi è uscito in edicola Vanity Fair con l’intervista a Maurizio Sarri – di Angelo Carotenuto – che ieri è stata anticipata in forma di sintesi.

Ora c’è la versione integrale.

Sarri parla del sarrismo: «È un modo di giocare a cacio e basta. Sette anni fa avevo altre idee, magari in futuro le cambierò di nuovo. Nasce dagli schiaffi presi, dalla ricerca di soluzioni per ogni difficoltà. L’evoluzione è figlia delle sconfitte. Non solo nel calcio. Io dopo una vittoria non so gioire. Chi vince, resta ferma nelle sue convinzioni. Una sconfitta mi segna dentro più a lungo, mi rende critico, mi sposta un passo avanti».

Sulle ricadute social, dice: «Quello che sta intorno al mio calcio è un passatempo. Mio nipote mi fa leggere la pagina facebook Sarrismo e Rivoluzione. Si divertono, io sono anti-social, non uso nemmeno whatsapp».

Del Napoli, della fedeltà, è stato già detto tutto. Anche della politica: «Oggi non mi interessa più»

Alla domanda: un traditore chi è? Risponde così: «Chi si sottrae. Chi fa prevalere l’obiettivo individuale sull’obiettivo collettivo. Perciò a me delle maglie piace la metà davanti, dove c’è lo stemma della società. Dietro c’è il nome del giocatore: quel lato mi interessa meno».

E ancora: «Baciare una maglia? Perché privarsi di un atto d’amore in previsione di quello che forse succederà tra dieci anni? A Milano molti giocatori sono passati da qua a là. Sarebbe meglio non farlo in modo diretto ma nel corso di una carriera può succedere».

Allegri dice che il calcio è semplice.

«Il mio è talmente semplice che è difficilissimo da interpretare. Il mio lavoro è creare una mentalità, gli schemi non c’entrano. Io stesso sono un uomo semplice. Non faccio il cardiochirurgo. Mi occupo di un gioco. Divido, certo. Come chi ha delle convinzioni. Ma non sono un integralista. Sono uno che ha idee in evoluzione».

«Non esistono i sottovalutati. La sfortuna rallenta, non ferma. I sopravvalutati sì, quelli esistono. I media offrono una concezione malata del calcio: troppa enfasi sul singolo. Per esigenze giornalistiche si esaltano spesso giocatori forti, ma non così forti. È più facile il racconto: la società esige un idolo».

Infine: «Quando cominci a vincere, le scaramanzie finiscono».

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