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Napoli non sa fare sistema, le fazioni su Sarri lo confermano

Il passaggio alla Juve è anche una vittoria del Napoli e (doppia) di de Laurentiis. Ma noi pensiamo solo a dividerci per bande

Napoli non sa fare sistema, le fazioni su Sarri lo confermano

Ebbene siamo finiti all’attenzione di tutti i media per questa disputa infinita tra chi l’accusa di tradimento – i “ sarristi” duri e puri contro il pappone De Laurentis    e chi, dopo la legittima scelta bianconera, gode per lo smascheramento del giochetto del “comandante nella sua battaglia solitaria contro il sistema”.

Diciamoci la verità: un giochetto mediatico alimentato dallo stesso Sarri, durante la sua entusiasmante stagione partenopea – quante volte lo abbiamo sentito denunciare il peso dei fatturati, ma anche la sua “solitudine” rispetto alla proprietà: una sorta di via di fuga dalle responsabilità collettive qualora le cose fossero andate storte e che i creduloni hanno scambiato per un chevarismo pallonaro – e che, ora, gli è, ahi lui, ritornato in faccia.

A mio modestissimo, ma davvero modestissimo avviso, si è persa una grande occasione per reclamare a gran voce, urbi ed orbi, che, udite, udite, Sarri alla Juventus è una grande vittoria del Napoli di De Laurentiis e di Napoli.

Che il pragmatismo calcistico, sbandierato con arrogante derisione verso gli avversari, è dovuto venire a Canossa.  a bellezza, forse, non ci salverà, al contrario di quel che sosteneva, invece, Dostoevskij, ma, stavolta, si è impossessata della roccaforte juventina.

Ve li ricordate, infatti, gli Allegri, gli Agnelli, i Nedved e chi più ne ha più ne metta, tronfi, davanti a telecamere e taccuini, vantare l’indiscusso palmares di successi nazionali, nella cui vetrina rimaneva ancora miseramente vuota da troppo tempo quella più ambita, la coppa europea.

Con la costosissima carta-Ronaldo pensavano, finalmente, ad una trionfale marcia verso un trofeo divenuto una vera e propria ossessione, ma il sogno è svanito per mano di una squadra di giovanotti olandesi che, guarda caso, praticava il bel calcio. Una sorta di maledizione che deve aver mandato in trance il gruppo dirigente bianconero, il cui mister era già stato esonerato (stavolta siamo d’accordo con Crosetti di Repubblica) sul campo dello Stadium da un Ronaldo disperato che, invano, invitava i suoi all’arrembaggio. Uno spettacolo da dimenticare per tutti loro.

Messa da parte la derisione snobistica e senza un minimo di autocritica, hanno dovuto rivolgersi a quell’uomo che, anche nell’esperienza inglese, non aveva rinnegato il suo credo.

Ora, se Sarri è quello che è, senz’altro è merito dell’uomo, protagonista di una bella favola che l’ha portato dalla polvere agli altari.

Ma conta o non conta che sia stato pescato nelle retrovie dell’Empoli da un presidente e da una società, che, poi, insieme alla città, lo hanno sempre accompagnato con favore nei suoi campionati alla guida degli azzurri? Che, tutti, lo hanno sempre difeso dalle irrisioni dei “pragmatici” juventini? Insomma un tecnico che è cresciuto all’unisono con una società, oramai ai vertici nazionali ed europei da anni. Si potrebbe azzardare che sono dovuti passare virtualmente per Napoli per arrivare a Londra.

Ecco mi sarei aspettato che, invece, di dividerci provincialmente tra le fazioni dei “ dagli al traditore” e del “dagli agli illusi”, dando uno spettacolo non proprio edificante, ci saremmo ritrovati uniti nel vanto di un successo societario di cui la panchina juventina a Sarri è, comunque, un riconoscimento. Così come avviene per tanti successi napoletani che non sto qui ad elencare.

Ma, qui, riemerge l’antica palla al piede di una città e delle sue élite e cioè che non sanno fare sistema (ne discutemmo ai tempi di Benitez)  e che, invece, scelgono sempre di dividersi per bande e farsi la guerra (sulle ragioni esiste una vastissima letteratura). Hai voglia a rinchiudere il calcio nei confini del calcio, come sostiene, il meno accademico degli accademici, il professor Trombetti: vale, invece, il contrario e si tratta, ahimè, di una significativa fotografia della società e, ancora di più a Napoli, dove tutto è messo in scena senza mediazioni di sorta.

E, infine, chi non è accecato da fallaci ideologismi deve riconoscere che De Laurentis ha vinto due volte: sia perché gli juventini hanno, giocoforza, dovuto inchinarsi alla bontà delle scelte passate del “pappone”. Che, poi, a sua volta, anticipò tutti e lo stesso Sarri a fine stagione scorsa  (il cui amletismo celava la più che umana volontà di cimentarsi con nuove sfide), togliendo dal mercato uno degli allenatori più prestigiosi al mondo, quel Carlo Ancelotti, la cui indiscussa autorevolezza si sente nel mercato di questi giorni (Benitez si portò dietro Higuain e Callejon: nella città di Vico i cicli riguardano anche il calcio).

Ora speriamo che da questa disputa ci venga un qualche insegnamento per il futuro: almeno nel calcio, invece, di ritrovare fantasiosi motivi di divisione, cerchiamo di riconoscere le ragioni dell’unità. Spesso stanno sotto i nostri occhi, basta volerle vedere.

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