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Dalla SuperLega a De Rossi, abbiamo il terrore del futuro

C’è qualcuno che ha il coraggio di affermare che l’Nba non è uno sport popolare? Eppure ci sono le franchigie. I giornali parlano di storia finita troppo presto per un giocatore di 35 anni

Dalla SuperLega a De Rossi, abbiamo il terrore del futuro

Dietro Caronte

Dietro Caronte c’è l’avvocato, predicava un ambiguo Enzo De Caro ad un terrorizzato Massimo Troisi in un celebre sketch de La Smorfia. Dietro la paura per le SuperLeghe e lo sradicamento del sentimento calcistico c’è il terrore di invecchiare.

Temiamo il futuro perché in parte banalizza qualcuno dei nostri ricordi fanciulleschi, i veri tiranni della nostra esistenza – ciascuno si convince, infatti, che la propria giovinezza sia più nobile di quella altrui. Allora si paventa la deriva americana – vogliamo vivere anche noi di franchigie, pensiamo forse di fare del calcio una nuova Nba? – come se il basket in America non fosse uno sport popolare, non abbia racchiuso nei decenni la storia dei ghetti e delle ricche università.

Manchiamo il cuore della discussione: ossia che la popolarità di uno sport come il calcio deriva dalla sua semplicità. Il gioco del pallone è locale nella misura in cui è e sarà facile immaginare una porta con due mattoni e una palla con qualche straccio. Il calcio non ha bisogno che il suo sentimento si radichi in un luogo: esso è già locale, endemico, virale.

A lavorare per tenere vincolato, nei secoli futuri, uno stato d’animo ad un luogo fisico, sono i contrabbandieri dei sentimenti. La passione è per sua natura dis-locata, è alla costante ricerca, è cibo per le anime errabonde. Quando De Laurentiis ricorda la cronaca recente sottolineando che, acquistato il semplice titolo, quella squadra di cui divenne presidente avrebbe potuto chiamarla Pinco Pallino, non fa altro che smascherare questa paura di invecchiare – molto (piccolo) borghese – trasversale nel nostro mondo. Il calcio serve a renderci bambini, ma lasciamo che domani ciascuno scelga come diventarlo.

Capitan Futuro

Nella capitale, in questi giorni, si discute un calciatore importante soprannominato un giorno “Capitan Futuro”. Per commentare la vicenda, il Corriere ha titolato: “De Rossi lascia la Roma, lo strappo amaro di una storia finita troppo presto”. Ma se a 35 anni è ancora presto, quando sarà sufficientemente tardi per vivere con un po’ di leggerezza un filo di vecchiaia? Possiamo accettare di essere tutti ibernati in questo orrore del domani – i giornalisti, il tifo organizzato, lo scrittore della storia dei vicoli?

Intanto Mick Jagger salta. Forse, a settantasei anni, non ha smesso ancora di immaginare e tempo da perdere imprigionando i sogni altrui non ne ha.

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