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Sarri se ne sbatte di tutti, anche dei sarristi

Da un lato la costruzione mediatica del personaggio (cui lui, volente o nolente, si è prestato), dall’altro la realtà e la trattativa con la Juventus (comunque vada)

Sarri se ne sbatte di tutti, anche dei sarristi
Non è mai stata la tuta. E nemmeno la mezza sigaretta spenta, succhiata nell’attesa di potersela davvero fumare. Non sono mai stati gli occhiali che scivolano sul naso imperlato di sudore, ricomposti con un gesto impacciato da secchione al liceo. E forse nemmeno quel dito medio ai tifosi della Juve che sputavano al pullman del Napoli. È per le parole che Maurizio Sarri alla Juve, ancor prima di una voce, è già una condanna per i napoletani, la maledizione di un ideale, o di un idolo idealizzato. È con le parole, se non con le opere, a stento con le omissioni, che Sarri si è negato la benedizione altrui per un possibile – chissà, probabile – scatto di carriera a Torino.
Le parole seminate in passato sui social, in conferenza stampa, nelle interviste. Ancor prima di esser vero, Sarri alla Juve a Napoli è già un peccato nelle intenzioni, nella forma che di questi tempi si fa sostanza in un battibaleno. Fa niente se ora “la professione ti porta a fare un altro tipo di percorsi”. Il professionismo va a targhe alterne, si sa. Qui vale il verbo che fu, quello che ha preso la V maiuscola nella rappresentazione quotidiana del napoletano che finalmente si riconosce in un nuovo leader popolare, anti-sistema e quindi anti-Juve, lo stesso che ne approva bonariamente l’esilio a Londra, ma che ora annusa il ritorno in Italia, ma dalla parte sbagliata. Anni a parlare di fatturato, di arbitri, di potere in Lega, di ingerenze di mercato, in un’epoca che non ammette oblio: quel che dici resta, scripta manent a colpi di screenshot compulsivi.

La reazione a Napoli

A Napoli lo stanno aspettando al varco, e molti quel varco l’hanno già anticipato, perché anche solo l’accostamento giornalistico del Comandante al “nemico” bianconero è blasfemia. “Come Higuain”, “no, peggio di Higuain”… non è forse l’attesa del tradimento essa stessa un tradimento? Vissuta con le solite dicotomie isteriche: chi nella finale di Europa League a tifare Chelsea, chi a tifare contro. Chi gratificato dalla vittoria postuma, di una coppa del “suo” allenatore, pur non della sua squadra, chi invece vanamente speranzoso di poter continuare a raccontare il distacco da quel tecnico “bello e perdente”. Una trattativa spacca-Napoli che troverà soluzione solo all’ufficializzazione – in un senso o nell’altro – del suo destino: resta al Chelsea? Va alla Juve? C’è chi in cuor suo spera nel ritiro a vita privata, eroe generoso senza la macchia del patto col diavolo, piuttosto il nulla, il posto in banca, hai visto mai…

Un santino della rivoluzione

Sarri è uno che s’è costruito negli anni – più nolente che volente – questa immagine da santino della rivoluzione, la più difficile da cancellare, la più facile da rovinare. La sua spontanea strafottenza per ogni tipo di convenzione o diplomazia, la sua retorica del ribaltamento dello status quo (“i diciotto uomini che possono fare il colpo di stato”), il suo pedigree da uomo della gavetta, hanno precipitato un mondo imbalsamato nei cliché in una dimensione vintage. Il pallone d’un tempo e i suoi personaggi immortali, il calcio pane e salame, Mazzone che corre sotto la curva ostile, quella roba lì che rompeva i cuscinetti mediatici e che oggi per i media stessi è una manna venuta dal passato. E l’ha fatto a Napoli, la Capitale dell’ottimismo patologico che si incarognisce in orgoglio coatto, che non aspettava altro che un messia minore calasse a rivendicare per la città un patrimonio di diversità senza distinguo. Siamo diversi, siamo belli… un’overdose di autostima logorante che infatti brucia tutto, soprattutto i suoi eroi.

Contro la Juve

Sarri a gennaio del 2016 arringava sui bilanci e sulla “Juve di un’altra categoria”, “il fatturato pesa”, diceva. E quando Higuain se lo prese proprio la Juve, in quel modo, per mesi, oltre ogni vittoria o sconfitta, quella era una domanda fissa con risposta fissa: “Sì, mi manca. Chissà dove saremmo ora con Gonzalo”. Disse, testualmente: “A me sono davvero girati i coglioni quando esponenti della Juve parlavano di Higuain mentre era un nostro calciatore, e io non farò quello che loro hanno fatto”.

E il 21 gennaio 2018, dopo la gara contro l’Atalanta, eccolo a prendersela con la Lega che avrebbe fatto “un errore mastodontico” favorendo la Juve nella costruzione del calendario. Il 29 aprile 2018, a scudetto ormai sfumato, spunta pure la classica frecciata sugli arbitri: “La gente non ha più fiducia nel calcio italiano? Nella vita tutto finisce, quindi prima o poi finirà anche quello che vediamo in Italia. Il rischio di perdere tanti appassionati che hanno la sfortuna di tifare squadre che sanno di non vincere mai. Impoverendo il sistema, si impoveriscono anche i più ricchi”.

Ora c’è la Juventus

Ora i più ricchi lo vogliono, e basta il rumour a scatenare il reflusso delle vecchie dichiarazioni, ad affratellare un popolo che ci tiene proprio ad auto-definirsi tale. Troppo goloso il copione, perché il core ‘ngrato sarà pure un classico ma siamo a giugno, il campionato è finito e ognuno di noi ha il suo bel dossier di ipse dixit da rinfacciare qua e là. E non è un problema solo di Sarri, vale per tutti. Zitti, solo se restassimo zitti, solo se ci ritraessimo – ma come si fa? C’è un tutorial? – dal commentare tutto, se avessimo la pudicizia di trattenerci dal farlo quanto meno in pubblico, ovvero sui social, forse potremmo salvarci da quel ricatto che incombe sulle nostre possibilità lavorative, sui nostri futuri rapporti sociali.

Nel nome di una coerenza ormai tagliente, che non ammette mezze misure, e che cristallizza posizioni anche sceme vita natural durante. Sarebbe ovviamente una faticaccia, e infatti ormai nessuno se l’accolla più. Sarri, con tutto il suo sovraccarico di spontaneità, è oggi stretto in quella piegatura mediatica che è il Sarrismo. Ma la cosa bella è che forse, coerentemente col personaggio, lui degli “ismi” se ne sbatte. Fare i conti con le parole, incastrate in una rete di like e poco più, è diventata una gran perdita di tempo. “Il rapporto con i tifosi del Napoli non cambierà”, e se lo dice lui…

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