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Ponte Morandi. Autostrade contesta al Mit il metodo scelto e non risponde sulle cause del crollo

La concessionaria ritiene inammissibile la contestazione di un grave inadempimento senza che le indagini siano concluse

Ponte Morandi. Autostrade contesta al Mit il metodo scelto e non risponde sulle cause del crollo

Una nota ufficiale stringatissima, diffusa ieri, che accompagna un documento di 400 pagine e 3mila allegati tecnici con cui Autostrade ribatte punto per punto alle contestazioni del Mit sulla manutenzione del ponte Morandi.

La concessionaria chiarisce di aver speso, in manutenzione, 9 milioni di euro negli ultimi quattro anni, proprio sul tratto di ponte crollato. Ed enumera anche tutti gli investimenti realizzati sull’intera rete, che hanno portato ad una riduzione della mortalità del 70% in 10 anni.

Non solo. Tira in ballo i report di altri enti sulla stabilità del viadotto e contesta, nel metodo, la strategia del ministero:

“non può esserci, sostengono i legali di Autostrade, la contestazione di un ‘grave inadempimento’ da parte del concessionario senza che questo sia accertato dalle indagini della magistratura”.

Per questo motivo, Autostrade, anche se si dichiara disponibile a collaborare a qualsiasi accertamento, non risponde alla richiesta del Mit di indicare un’ipotesi sulle cause del crollo.

La nota arriva nell’ultimo dei 120 giorni concessi dal ministero per rispondere ai suoi quesiti.

All’indomani del crollo di agosto, il governo ha avviato la procedura di revoca della concessione per gravi inadempienze: ad essa, a settembre, Aspi ha fornito una prima risposta, come previsto da procedura.

Nel mese di dicembre il Mit ha chiesto ulteriori integrazioni sulle cause del crollo del viadotto, concedendo ad Autostrade 120 giorni per rispondere. Il termine è poi stato prorogato, fino alla scadenza di ieri.

Il governo, adesso, ha due mesi per valutare la documentazione fornita dalla concessionaria per poi decidere se andare avanti con la procedura di decadenza della concessione.

Se si decidesse per questa strada e se tra le parti rimanessero motivi di forte dissenso, a firmare il decreto di revoca sarebbero i ministeri dell’Economia e dei Trasporti e poi il decreto sarebbe sottoposto alla Corte dei conti.

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