Sicuramente non c’è una crisi di risultati. E se non dai risultati, da cosa può dipendere questo malcontento?
Cos’è accaduto negli ultimi anni al tifo napoletano? Quale meccanismo si è innescato? Si tratta di una deriva irreversibile o è possibile intervenire? A queste domande da tempo, ma ancor più dopo gli episodi dell’ultima settimana, sto cercando di dare una risposta. Non è semplice, ma proviamo a mettere in ordine un po’ di osservazioni.
Sicuramente non c’è una crisi di risultati
I dati sono dati e sono alla portata di tutti. Il Napoli sta vivendo il periodo sportivo più continuo della sua storia. Da 10 anni ininterrottamente qualificato per le coppe europee, quarta Champions League consecutiva; dal 2007/2008, anno del ritorno in serie A, ha collezionato 4 secondi posti (incluso quello quasi certo di quest’anno), 3 terzi posti, 2 quinti posti, un sesto, un ottavo ed un dodicesimo posto (questi ultimi 3 piazzamenti risalgono al primo triennio). Sono state vinte due Coppe Italia ed una Supercoppa. È stata raggiunta una volta la semifinale di Europa League (terza semifinale europea in assoluto), quest’anno siamo usciti ai quarti di finale della stessa competizione (quinta volta in assoluto) e abbiamo raggiunto per due volte gli ottavi di finale di Champions League (uniche due volte in assoluto).
Per due volte (Cavani 2013 ed Higuain 2016) un giocatore del Napoli è diventato capocannoniere della serie A, impresa riuscita solo una volta prima, a Diego Armando Maradona nel 1988. In questi anni hanno vestito la maglia azzurra campioni assoluti, nel pieno della loro carriera (Cavani, Lavezzi, Hamsik, Higuain, Mertens, Koulibaly, Callejon, Insigne, Quagliarella…) e si sono seduti in panchina due degli allenatori più titolati al mondo (Benitez e Ancelotti). Non serve una laurea in matematica per fare i conti e stabilire che, certo senza i picchi delle vittorie raggiunte nel settennato di Maradona, si tratta del periodo migliore e più continuo della storia del Calcio Napoli.
Eppure tra la tifoseria c’è un malcontento palese
Non parlo solo degli ultras che potrebbero avere motivazioni personali per avversare la società (motivazioni che non conosco, che se conoscessi non comprenderei e che, comunque, preferisco ignorare). Parlo del tifoso medio e finanche di quello colto. Anche negli ultimi giorni ho letto illustri commentatori rimproverare Ancelotti di essere “aziendalista”, un rimprovero che a me appare lunare, ma che incredibilmente attecchisce nella mente di più di un appassionato. Sarà che non concepisco altro modo di osservare una società che non sia quello gerarchico, al cui vertice c’è un presidente e poi, via via scendendo, una dirigenza, l’allenatore, uno staff tecnico e la squadra.
È strano che si riconosca il valore della gerarchia solo alla base della piramide (nessuno concepirebbe un giocatore che non rispetti i desiderata dell’allenatore) e non al vertice. Se c’è una cosa che ho rimproverato a Sarri, infatti, è di aver fatto la fronda al Presidente, valga per tutti l’episodio in cui abbracciò platealmente in mezzo al campo un Higuain oramai bianconero che proprio a De Laurentiis stava indirizzando i suoi strali (“es tu colpa”, ricordate?).
Cosa può venire di buono da un atteggiamento simile? L’allenatore, a mio avviso, è una delle componenti di una società di calcio, alla dirigenza ed alla presidenza deve rispondere e con loro deve concordare obiettivi e strategie. Dire di un allenatore che è aziendalista è, per me, come dire al cielo che è azzurro. È normale che sia così e sarebbe assurdo il contrario (un allenatore ribelle? antiaziendalista? ma quali esempi positivi ci sono nella storia di figure del genere?).
E se non dai risultati, da cosa può dipendere questo malcontento?
Dal carattere protagonista e forse antipatico di De Laurentiis? Questa spiegazione non regge alla prova di resistenza. Tutto il fastidio che alcune sue uscite hanno potuto provocare, tutta la delusione per qualche mancato acquisto, non possono essere sufficienti a giustificare l’atteggiamento sprezzante e di fastidio che una buona parte della città gli riserva. Certo, Grassi e Regini in una sessione di gennaio che poteva rivelarsi decisiva per la conquista del titolo; certo, il non mercato del secondo anno di Benitez; certo, una serie di annunci senza seguito (acquisti, lo stadio, il settore giovanile). Ma ci sono anche le volte che ci ha stupito in positivo, come quando è andato a comprare Higuain, Albiol e Callejon dal Real Madrid (chi se lo aspettava?) o come quando ha concluso l’ingaggio di Ancelotti (idem), solo per citare gli esempi più clamorosi.
Credo che, più verosimilmente, ci sia un problema di competizione tra la città e De Laurentiis. La prima è convinta di aver fatto arricchire un uomo che non vale tanto, il secondo è convinto di aver portato in alto la squadra di una città decadente. Entrambi vorrebbero la riconoscenza ed entrambi ricevono insulti quando non arriva.
Chi ha ragione?
Difficile rispondere seccamente, come in ogni rapporto le colpe stanno da ogni lato. Napoli ha sicuramente un problema di percezione di sé stessa. Ragiona da capitale, ma non lo è più da oltre 150 anni e non vuole prendere atto del proprio declino. Per rimanere in ambito calcistico, siamo ancorati ad una immagine di passione e travolgimento che nella realtà non c’è più da molto tempo. Il tempo del San Paolo sempre pieno, sempre al fianco della squadra, traboccante e cantante è finito.
Le cifre ci parlano di uno stadio quasi sempre vuoto per metà, di un pubblico che non si abbona, di un’atmosfera tiepida, se non fredda, nel 99% delle occasioni. Se però viene fatto notare che, cifre alla mano, a questa città basterebbe uno stadio da 30/40.000 posti, apriti cielo, si scatena una reazione inorridita e offesa. Il re nudo è l’ultimo, come sempre, ad arrendersi all’evidenza e, come nel finale della storia di Andersen, continua a camminare come se nulla fosse, con i ciambellani che reggono lo strascico che non c’è.
De Laurentiis, dal canto suo, avrebbe il dovere, da buon imprenditore, di curare la customer satisfaction in maniera più efficace. I risultati sportivi e la oculata ed impeccabile gestione finanziaria della società rappresentano, a Napoli, un unicum: niente in questa città funziona come il Calcio Napoli. Niente. Eppure, se qualcuno si prendesse la briga di misurare l’indice di gradimento delle varie realtà, probabilmente la sua gestione finirebbe agli ultimi posti. Non sto consigliando al presidente di blandire o lisciare il pelo alla tifoseria, affatto. Ma tra la lusinga affettata e la brutalità sfrontata c’è, ci deve essere, una via di mezzo. E va percorsa.
Qualche consiglio per De Laurentiis
Sono sempre stato, proprio per l’oggettività dei risultati, dalla parte di De Laurentiis. Sono convinto che difficilmente si potesse fare meglio di quanto ha fatto lui e, comunque, non c’è nessuno all’orizzonte che abbia mai manifestato l’intenzione concreta di farlo. Non c’è un imprenditore, a Napoli e fuori Napoli, che abbia mai manifestato un interesse per la società. È un fatto incontrovertibile. Proprio in base a questa convinzione, vorrei che De Laurentiis accettasse qualche consiglio. Si tratta di poche e, tutto sommato, piccole cose. Diciamo due: 1) maggiore trasparenze e lungimiranza nella politica dei biglietti; 2) una comunicazione più attenta.
Maggiore trasparenze e lungimiranza nella politica dei biglietti
Sotto il primo aspetto, che da sempre è oggetto di critiche, più che il dato concreto del prezzo dei biglietti (assolutamente in linea con quello delle squadre di pari rango), va rivisto il criterio con il quale i prezzi vengono decisi di volta in volta. Criterio che appare, molto spesso, incomprensibile. Perché la curva contro il Cagliari costerà 30 euro? Perché ad inizio stagione costava 40? Perché durante la stagione i prezzi sono scesi e con il mini-abbonamento si è arrivati a 14 euro a partita, compreso l’incontro di Coppa con lo Zurigo?
Non sarebbe più semplice e trasparente pubblicare, al varo del calendario, i prezzi per ogni singolo incontro? Non si potrebbe stabilire la divisione in tre fasce, a seconda del rango dell’avversaria, e sancire il prezzo anticipatamente? Non si potrebbero mettere in vendita sempre, a prezzi stracciati o quasi, i biglietti per i settori inferiori che sono inderogabilmente vuoti? In alternativa non si potrebbero regalare alle scuole? Sono convinto che, a conti fatti, una gestione siffatta porterebbe nelle casse della società, nella peggiore delle ipotesi, gli stessi incassi che garantisce l’attuale politica. Ma azzererebbe completamente le polemiche. Non è questo un obiettivo che vale la pena perseguire?
Una comunicazione più attenta
Sotto il secondo aspetto: la vis polemica, Presidente, andrebbe indirizzata esclusivamente all’esterno. Il mondo del calcio, Lei ce lo ricorda costantemente, è vecchio e sclerotizzato. Non sarebbe più proficuo combattere la battaglia per la sua modernizzazione con il supporto della propria gente? Lei è uomo di cinema e sa meglio di chiunque altro che anche il migliore dei film, per avere successo di critica e al botteghino, ha bisogno di una promozione adeguata. Sa che nello show business la comunicazione è fondamentale. Riveda quello che non va. Ha avuto la lungimiranza di ingaggiare un fuoriclasse anche sotto questo aspetto. Ancelotti è davvero il migliore, anche sotto l’aspetto della comunicazione, sfrutti questo suo talento e lo utilizzi per togliere terreno da sotto i piedi dei detrattori.
Sa, infine, perché mi rivolgo esclusivamente a Lei? Perché credo sia l’unico, tra le fazioni in considerazione, che abbia un lato razionale al quale poter fare appello. Lato che manca completamente a chi considera il presente non all’altezza della storia del Calcio Napoli, a chi ha rifiutato la maglia di Callejon, ai vedovi di Sarri, ai commentatori che rimproverano all’allenatore di essere aziendalista, a quelli che “pretendono” le vittorie, a chi non perde occasione per intonare cori contro il Presidente. Se c’è una strada per “sperare che il mondo torni a quote più normali”, come cantava Battiato, Lei è l’unico che può percorrerla. Altrimenti, continuando la citazione, Povera Patria.