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Fallimento è una parola sbagliata. Mancanza di emozioni è una definizione corretta

Delusione perché da questa squadra si aspettava qualcosa di più. Non parlo di risultati, parlo di un paio di emozioni in più, che da gennaio in poi non sono pervenute

Fallimento è una parola sbagliata. Mancanza di emozioni è una definizione corretta

Mertens solo davanti al portiere, Zielinsky solo davanti al portiere, Milik solo davanti al portiere, Mertens solo davanti al portiere (due volte), Milik al limite dell’area con lo specchio libero (almeno un paio di volte), Callejon solo davanti al portere; e così via. Può bastare, sono almeno sei chiare occasioni da rete più altre tre o quattro azioni che con un po’ di lucidità avrebbero potuto portare al gol.

Ancelotti ha ripetuto spesso quest’anno che l’unica statistica a cui crede è quella dei gol fatti e subiti, sa perfettamente che, se con tutte quelle occasioni (e una decente ora di gioco), fai solo un gol, difficilmente vinci, anzi, è probabile che tu venga rimontato e perda. Così stanno le cose.

Ieri sera il mio amico Roberto mi ha scritto: “Mi piacerebbe essere un protagonista de “La partita non guardata, ma l’ho guardata”. Gli ho risposto che purtroppo l’avevo guardata anche io. Perciò Roberto che, per quel che ne so, è uno che va sempre al San Paolo, mi ha manifestato così la sua delusione. Roberto è uno che quando parla del Napoli ha gli occhi luminosi. Si illumina ancora come quando eravamo ragazzini e pure uno stop riuscito di Vinazzani ci commuoveva. Roberto ne ha viste troppe per essere arrabbiato, ma di certo è un po’ deluso perché da questa squadra si aspettava qualcosa di più. Non parlo di risultati (o almeno non soltanto), il secondo posto in campionato è, più o meno, al sicuro, le coppe vanno come vanno, parlo di un paio di emozioni in più, che da gennaio in poi non sono pervenute. Così stanno le cose.

Fallimento è una parola sbagliata, mancanza di emozioni è una definizione corretta. A un certo punto siamo spariti, abbiamo smesso di credere di poter competere. Prendiamo le due partite giocate con l’Arsenal, non ci è stato regalato nemmeno un sussulto, che dire speranza sarebbe troppo. Non ci sono stati nemmeno due minuti in cui abbiamo potuto pensare di ribaltare, di pareggiare, di segnare, figuriamoci di vincere. Il Napoli che ha giocato con il Psg e con il Liverpool avrebbe eliminato l’Arsenal senza troppi patemi, o almeno se la sarebbe giocata. Questa rinuncia, questa paura, questo rimanere pietrificati davanti ai terzini londinesi è quasi inconcepibile. Sei lì a giocarti la partita dell’anno e sparisci. In coppa si esce, si perde, ma, per la miseria, si gioca. È qualche mese che non ci emozioniamo, ed è un peccato. Quando ti emozioni tieni a bada anche le delusioni della sconfitta (come è successo per l’eliminazione dalla Champions), quando non succede non vedi l’ora che la stagione finisca. Non è bello. Così stanno le cose.

Sto leggendo un libro molto bello, I vagabondi di Olga Tokarczuk (Bompiani, trad. B. Delfino), è un libro fatto di viaggi e incontri, autobiografico. Tokarczuk scrive: “Ogni volta che parto scompaio dalle mappe”, per lei infatti non sono importanti i luoghi quanto il viaggio in sé, nel libro i posti nominati sono pochissimi, i nomi che contano sono quelli delle persone e delle loro storie. Per dove sta viaggiando il Napoli, mi viene da pensare. Se il Napoli fosse la meta di un nostro viaggio, mi domando, chi sono i nomi di cui vorremmo raccontare la storia? Chi sarebbe degno del nostro taccuino? Di un appunto preso velocemente nel bagno di un aeroporto? Tutti, mi rispondo. La scrittrice polacca ci dimostra che ogni storia conta. Conta la storia della nostra squadra di quest’anno. Siamo a un certo punto di un viaggio e siamo un po’ disorientati, al momento non ci troviamo su nessuna mappa, questo ci fa paura. Se, però saremo bravi e fortunati questa può trasformarsi nella condizione ideale. Facciamo lo zaino e stiamo ad aspettare. Così stanno le cose.

Stanotte ho sognato Hamsik, mi domandava se usassi ancora le sue consonanti come password. Gli rispondevo che la faccenda non gli riguardava più. Mi offriva del cibo cinese e allora ammettevo di usare ancora le sue consonanti. Lui a quel punto mi guardava e diceva: “E le vocali? Credi forse che non contino?”. Aveva ragione,  contano anche le vocali. Il cibo che mi ha offerto era tremendo, ci ho tenuto a dirglielo.

Fallimento è una parola sbagliata. Mancanza di emozioni è una definizione corretta

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