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Sono sempre andato a San Siro con la sciarpa del Napoli. L’altra sera è successo qualcosa di nuovo

Via Novara – dove sono avvenuti scontri nazisti – è la mia zona. Non sono andato allo stadio con mio figlio solo perché ero a Napoli. Quel che è accaduto è il risultato del clima di questa Italia

Sono sempre andato a San Siro con la sciarpa del Napoli. L’altra sera è successo qualcosa di nuovo

Via Novara è la mia zona

A via Novara ci passo quasi ogni giorno, è di strada per la scuola di mio figlio.

A via fratelli Zoia c’è un piccolo teatro, fanno anche spettacoli per bambini, certe domeniche mattina.

All’incrocio tra le due inizia il parco di Trenno: il più grande non recintato d’Europa, mi dicono. Non ho mai controllato. Di certo, recinzioni non ce ne sono ed è tenuto ben pulito. Ci vado a fare jogging ogni tanto (ma solo nei mesi caldi, sono un po’ freddoloso). Zona verde, si corricchia accanto alla pista di allenamento dell’ippodoromo di san Siro e tra gli alberi sbuca la voluminosa copertura dello stadio Meazza.

È la mia zona, insomma: napolista di casa a san Siro, quelle strade stuprate da squadristi con mazze e randelli le sento un po’ mie, dopo tanti anni, e tanti ricordi. Di Inter-Napoli, a due passi da casa, ne ho visti parecchi, nelle ultime stagioni, ovvio. Ricordo una sera della Befana di un po’ di anni fa, Leonardo all’esordio in panchina e la pessima idea di tornare a piedi in una nottata con umidità da bagnoturco ma un freddo che ti entra nelle ossa e nei bronchi che manco al circolo polare. E la sconfitta di aprile 2016 col gol di Icardi in sospetto fuorigioco (l’ultimo subìto dal Napoli contro l’Inter prima dell’altra sera: 2 anni e 8 mesi), e la cena col mio amico interista sceso apposta dalla val d’Aosta, al Trotter, ristorante pugliese ottimo e abbondante a via Capecelatro. E l’1-0 firmato Callejon al ponte del primo maggio 2017, proprio sotto i nostri occhi, miei e di un amico milanese tifosissimo azzurro, chissà perché. Vabbè, qui il campo però non c’entra più. Non c’entra nulla.

Mai percepito una sensazione di pericolo

In tutti questi anni, non ho mai percepito una sensazione di pericolo; di non poter girare liberamente per strada, nel piazzale di San Siro, dentro il catino, con la mia sciarpa azzurra serenamente attorno al collo. Sempre tutti mischiati, senza problemi: interisti di Milano e del Nord Italia, tifosi azzurri arrivati da Napoli, tifosi dell’Inter con chiaro accento meridionale, ragazzi nati a Milano figli di emigranti e tifosi partenopei. Ho mangiato la tipica “salamella” con la birra gelata sotto la curva di piazza Axum, gomito a gomito con loro; ho salito lo scalone a chiocciola dello stadio fianco a fianco; ho fatto la fila al bagno o al bar dello stadio spalla a spalla. Mai un problema, zero.

Ho sempre ritenuto san Siro uno dei pochi stadi italiani dove questo fosse possibile. Più che a Roma, Torino o allo stesso san Paolo. Uno stadio, e un ambiente tutt’attorno, molto composito, un po’ come la città. È successo qualcosa di nuovo, e diverso, se gruppi di nazi razzisti organizzano raid squadristi muniti anche di fumogeni per celarsi: non c’entrano con san Siro, non c’entrano col pallone, non c’entrano con il tifo.

Il clima del Paese

Ma c’entrano eccome col clima del Paese, con la comoda e ripetuta metafora della “pacchia”, con l’idea sotterranea che adesso “si può”, è più figo dire la frasetta razzista e la battutina dissacrante che mantenere il contegno del politicamente corretto, che ha stufato, anzi, ha “rotto le palle”.

Ideale sarebbe non sentire pulsioni razziste, ovvio, ma se ogni tanto mi prendono, beh, avrei dovere di tenerle per me. Mantenersi, e trattenersi, anche solo, nell’atteggiamento, nel tono, costa fatica. Perché dovrei? Tanto non incasso biasimo sociale, al massimo silente o poco celata approvazione. La narrativa del resto cambia poco, dal “dagli al terrone” al “dagli al negro” il venticello può variare di intensità a seconda dei momenti ma non di direzione. E raggiunge San Siro, non più solo il sovraeccitato campo della provincia o della valle profonda.

Nell’era in cui la politica e i governanti ammiccano sempre a una “pancia” che assomiglia sempre più a un intestino, il segnale che arriva è che le pulsioni delle viscere non le devi più per forza trattenere. Basta trovare lo sfogatoio. Una partita di calcio (meglio se di una certa importanza e risonanza) è ideale, è porto franco da anni figuriamoci col nuovo vento. E così le crepe del “non trattenere” diventano una voragine; l’unico vero tratto comune di due episodi ben distinti tra loro: 1. Un agguato armato di alcune centinaia di persone, molti pregiudicati, a due km da uno stadio; 2. Reiterati grugniti razzisti a un atleta africano di alcune migliaia di persone, molti ultrà, dentro uno stadio.

Non fossi stato a Napoli per le feste di Natale, sarei andato, come ogni Inter-Napoli, a san Siro. Avrei portato mio figlio di 6 anni. Sarei passato da via Novara, a piedi, un’oretta prima della partita. È di strada, verso la sua scuola. Dove insegnano rispetto, regole; e rispetto delle regole.

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