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Bianchi: «Ho preso insulti a Nord e a Sud, il calcio malato è un problema italiano»

Ottavio Bianchi racconta al Mattino: «Al Sud mi davano del polentone, al Nord del terrone. La maleducazione è un problema comune a tutto il nostro paese».

L’intervista al Mattino

Ottavio Bianchi non rappresenta solo una delle memorie storiche più importanti del calcio napoletano, ma è anche un esempio di integrazione. Un bresciano che vive a Bergamo e che ha lavorato come allenatore a Napoli, Roma e Milano. Un cittadino italiano tout court, a cui Il Mattino ha chiesto un’opinione sul razzismo nel calcio.

I suoi racconti sono una sequenza di colpi al cuore: «Ancelotti ha ragione, è arrivata l’ora di smetterla. Cori ironici? Ma chi ride di certe canzoni? Detesto gli insulti, tutto ciò che può sembrare di matrice razzista o offensiva non dovrebbe sentirsi negli stadi. Io certi tifosi non li capisco, non li ho mai capiti. E anche io, devo ammetterlo, non mi sono mai sforzato di capirli: a ogni contratto che firmavo chiedevo di non aver rapporti con loro, non volevo prendere parte a incontri o inaugurazioni o altro. E infatti, solo i napoletani mi hanno sempre applaudito».

Neanche nella sua terra Bianchi è stato apprezzato: «A Bergamo, con l’Atalanta, vincemmo un campionato in Serie C e poi conquistammo un onorevole ottavo posto in Serie B. Con l’allora presidente Bortolotti eravamo lì a discutere del rinnovo e ci trovammo con un corteo di ultrà che chiedevano a gran voce di mandarmi via. La mia colpa? Non aver alcun genere di rapporto con loro. Certi tecnici hanno costruito le proprie fortune coccolando le tifoserie. Io mai».

Non è una questione che riguarda solo i tifosi: «Anche i tesserato non dovrebbero mai uscire dalle righe. Non mi piace quel modo esagerato di festeggiare dopo un gol o una vittoria».

Napoli

Il razzismo dei cittadini del Nord nei confronti dei napoletani: «Io ho allenato a Roma e a Napoli e ho fatto il giro d’Italia con il mio mestiere: a seconda dei casi, mi davano del meridionale e del terrone quando andavo al Nord, del leghista e polentone se ero al Sud. Gli insulti, personalmente, li ho presi dappertutto: è un male comune al nostro Paese. Una cosa triste, insopportabile, a cui nessuno ha voluto mettere un freno».

L’ambiente del calcio estero secondo Bianchi: «Fuori dall’Italia c’è rispetto. Si tifa per la propria squadra e basta, senza star sempre lì a pensare agli altri come dei nemici. A me certe cose hanno dato sempre fastidio: ce ne erano, eccome, anche quando giocavo a calcio negli anni ‘60 e ‘70. Ma anche al Sud, mica solo al Nord, c’erano accoglienze con parolacce, insulti. Io facevo fatica a fingere di non sentire, ma sentivo sempre tutto. Cambiare le cose? Non so se basta far perdere a tavolino la gara o penalizzare. So solo che troppi maleducati vanno allo stadio, gente che non ama il calcio e che non vive il calcio come aggregazione. Il calcio non può sempre far finta di niente. È questione di rispetto, di educazione, di regole da rispettare».

 

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