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De Zerbi: «Esistono tanti tipi di calcio, anche chi vince può avere torto»

Roberto De Zerbi intervistato da Libero: «A me non interessa il risultato arrivato per caso, voglio sempre che si parta da un’idea».

De Zerbi: «Esistono tanti tipi di calcio, anche chi vince può avere torto»

L’intervista a Libero

Roberto De Zerbi è stato a Napoli qualche giorno fa, ha perso contro la squadra di Ancelotti con il suo Sassuolo. Ha destato una buona impressione, ha provato a imporre il suo gioco, ma alla fine ha dovuto arrendersi alle qualità superiori dei suoi avversari. Oggi ha rilasciato un’intervista a Libero in cui parla anche di questo, mentre parla di calcio: «L’analisi del gioco schiava del risultato? Spesso la stampa arriva a conclusioni facili, dettate solo dal risultato: mi sta bene, però devi fermarti alla cronaca. Se invece vuoi “giudicare” devi avere gli strumenti per capire la partita e spiegarla, non partire dal risultato e andare in retromarcia»

«Io rispetto tantissimo le opinioni altrui perché parto da un presupposto: non esiste un solo tipo di calcio, quindi tutti hanno ragione e tutti hanno torto, anche chi ha vinto. Perché anche chi ha vinto, come Mourinho ad esempio, ha pure perso. O Conte: ha stravolto la Juve ma prima era stato cacciato dall’Atalanta. L’importante è che quando si va a giudicare un’idea la si rispetti e si cerchi di comprenderla».

La differenza tra De Zerbi e i suoi colleghi, secondo De Zerbi

«Non sono diverso io, lo è la mia richiesta. Non è più bella o più brutta, è solo differente rispetto a quella classica. La conseguenza è che quando le cose vanno bene mi esaltano oltre i miei meriti e quando vanno male mi massacrano. Da questo punto di vista i colleghi più “tradizionali” sono meno sotto pressione. Lo accetto, ma vorrei si cambiasse qualcosa nell’analisi delle partite, invece si banalizza troppo. Se non abbiamo meritato io vado in conferenza stampa e mi autodenuncio: con il Genoa abbiamo vinto ma ero  insoddisfatto. E l’ho detto. Contro la Juve abbiamo giocato una delle nostre migliori partite, ma abbiamo perso e allora “il Sassuolo si è sgonfiato”. Per me il risultato non è importante, è importante “come” arrivo al risultato. Se vinco “per caso” non mi interessa».

Anche a Benevento è andata più o meno così: «Quello chemi rende più orgoglioso è che quella squadra ha assorbito il mio carattere. Si allenava al massimo, andavamo in giro rispettando tutti, ma con coraggio e un’idea chiara».

L’esperienza negativa a Palermo

De Zerbi ricorda il suo “stage formativo” a Palermo: «Mi è capitato di rifiutare club dove intravedevo difficoltà nel portare avanti il mio lavoro. Questa è una conseguenza della mia esperienza a Palermo a soli 37 anni: è stata una grande scuola, ho imparato che il lavoro non basta se non viene accompagnato non dico da un “progetto” – è una parola che in Italia non esiste – ma almeno dalla serietà. Eppure direi ancora sì a Zamparini, proprio perché mi sono formato. A Palermo ero in difficoltà perché la squadra non l’avevo creata io, se giocavo “a 3”mi dicevano che dovevo giocare “a 4”, se schieravo Giovanni mi dicevano che doveva giocare Piero. Io spiego le scelte perché è giusto motivare,ma esigo autonomia: è il mio lavoro».

La nazionale secondo De Zerbi: «Abbiamo giocatori molto forti come Bernardeschi, Chiesa o Barella, ma fatichiamo perché non hanno ancora esperienza, non sono al pieno del loro potenziale. Comunque Barella è fortissimo. Ci sarebbe la qualità per applicare il mio tipo di gioco, e sono contento che Mancini abbia schierato giocatori di questo tipo, è un grande punto di partenza. La qualità non tradisce mai. Ma io ho già abbastanza faccende da risolvere nel Sassuolo, non mi permetto di pensare al lavoro di Mancini».

Il calcio di De Zerbi e il Sassuolo

È vero che De Zerbi snobba la fase difensiva: «Quando dicono certe cose, divento matto. Se uno viene con me una settimana capisce che l’aspetto difensivo per me è prioritario, però utilizzo modalità diverse, non tradizionali e lontane dalla cultura italiana».

Come ad esempio la costruzione che parte dal portiere, sempre e comunque: «Sì, io non mi arrabbio se un calciatore fa un errore quando applica un’idea che abbiamo provato in allenamento. Come Locatelli a Napoli, che ha sbagliato e poi ha continuato a sbagliare. Perché non l’ho tolto subito? Perché non tolgo i giocatori nel primo tempo, i ragazzi non vanno umiliati. La psicologia è fondamentale».

Il Sassuolo e Boateng: «Sono fortunato ad essere in un club che non pensa solo all’oggi, ma al domani e al dopodomani. Un allenatore sogna di finire in posti così. L’acquisto di Boateng? L’estate scorsa dovevo andare al Las Palmas, era tutto pronto ma rinunciai perché mi avevano chiesto di non essere completamente sincero con i ragazzi. Osservai Boateng: era un attaccante di manovra ma atipico, con il fisico di una vera prima punta. Quando mi sono accordato con il Sassuolo ho pensato che sarebbe stato perfetto, anche per una questione di “personalità”».

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