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Il Napoli è caduto, proprio come facciamo tutti noi

Sampdoria-Napoli, la partita non guardata: anch’io cado spesso, cambio strada e mi perdo oppure arrivo in ritardo facendo lo stesso percorso.

Il Napoli è caduto, proprio come facciamo tutti noi

La differenza tra cadere e precipitare

Si può precipitare quando si è molto in alto; il precipitare è un dramma, è un crollo e richiede toni drammatici. Si precipita solo se si sta ai vertici, altrimenti si cade. Cadere è un verbo che ci avvicina, nessuno è immune alla caduta. Cadiamo continuamente. Cadere e rialzarsi sono tra le azioni più frequenti che la vita ci chiede di ripetere. Cadere dovrebbe essere il verbo più facile da capire, dovremmo conoscerlo così bene da essere pronti a comprendere chi ne è vittima. Prima ancora della solidarietà dovrebbe esistere il riconoscersi: tu cadi perciò mi somigli.

Come sappiamo, però, quando ci riconosciamo difficilmente proviamo empatia, perché non ci piacciamo, o meglio non proviamo simpatia per la nostra parte debole, quella che ci ha fatto cadere. Si cade per debolezza, ma anche per sfortuna, si cade perché si commettono errori. Le statistiche dicono che alla maggior parte degli errori si può rimediare. Il Napoli di ieri sera somiglia a tante giornate della mia vita. Cambiavo strada e mi perdevo, facevo lo stesso percorso e arrivavo in ritardo. Cambiavo bar e il caffè era orribile, tornavo al mio solito bar e lo sbagliavano pure loro.

Spesso qui ho scritto di poesia, non perché la ritenga più importante di altri argomenti, ma solo perché è tra gli argomenti che conosco meglio. Non potete nemmeno immaginare quanta fatica costi far funzionare un singolo verso, trovare la parola giusta. Ci possono volere giorni, settimane, molto spesso si butta via tutto e si ricomincia daccapo. Si cade, così come a Marassi. Si cade all’incrocio dei pali, si cade di sponda, si cade sotto la meraviglia di un colpo di tacco. Si cade, si fanno i complimenti all’avversario e si va a casa.

La solitudine

Sto leggendo un libro molto bello Città sola di Olivia Laing (Il Saggiatore 2018, traduzione di Francesca Mastruzzo). Laing identifica New York come esempio per raccontare la solitudine degli esseri umani. La città dalle mille luci e che non dorme mai raccoglie dietro le sue finestre migliaia di solitudini; si è soli in mezzo agli altri, lo si è forse di più. Laing racconta la propria solitudine dentro New York e attraverso lo studio delle vite di artisti incredibili come Hopper o Warhol, o Wojnarowicz e Darger, che di quella solitudine sono genitori e figli e partendo da quella solitudine e da quel disagio hanno edificato la propria opera.

L’allenatore è solo? Può darsi. Lo è nella misura in cui è solo anche il tifoso. Il tifoso conduce sempre una battaglia, tiene in considerazione solo la propria opinione, finge di essere d’accordo con il giornalista di turno o con un altro tifoso, ma sotto sotto lui conosce sempre un dettaglio che agli altri sfugge. Tutto ciò lo rende spesso arrabbiato e quasi sempre solo. L’allenatore è solo, ma la sua solitudine a me piace, e piacerebbe anche a Olivia Laing, perché quella solitudine è tipica del creativo.

La solitudine dell’allenatore lo mantiene vigile e vivo, lo costringe a pensare e a inventare. La solitudine dell’allenatore non è fatta di finestre illuminate ma di partite riguardate, di considerazioni, di arretramenti e avanzamenti di pensiero. Quella solitudine creativa va a braccetto con la matematica e permette all’allenatore bravo di trovare il metro di campo, l’unità di misura, l’accorgimento – termine che mi piace molto – che consentirà di vincere la partita successiva. La vittoria naturalmente non lo renderà meno solo, ma certificherà l’uso corretto dell’isolamento.

Il passato è un fatto di memoria

Il passato conta ma è un fatto di conoscenza e basta, un fatto di memoria, il passato è andato, ed è già andata anche la Sampdoria, questo pezzo è già invecchiato ancora prima di uscire. Ricordiamoci sempre che ci riguarda il futuro o passeremmo le giornate a riguardare i video con i gol di Maradona.

Olivia Laing in chiusura del libro scrive: «ciò che conta è la gentilezza; ciò che conta è la solidarietà. Ciò che conta è essere vigili e sempre aperti, perché se abbiamo imparato qualcosa da chi ci ha preceduto, è che il tempo dei sentimenti non dura per sempre.». Siamo aperti alle novità, restiamo vigili ma – se possiamo – meno arrabbiati, perché si tratta solo di pallone, che come sappiamo è un sentimento, che per durare per sempre deve andare oltre il tempo, anche oltre i due tempi regolamentari di ieri.

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