Fuori dal rettangolo di gioco non mi sta piacendo nulla. In campo, invece, continuiamo a segnare gol bellissimi e si è parlato poco di Hamsik
«Oh, quieto camminare sulla riva della corrente azzurra. / Il pensiero rivolto a cose obliate[…]».
Sono versi del poeta Georg Trakl (da Sebastian in sogno, Adelphi, trad. di Gilberto Forti), usarli oggi mi pare quasi un gioco perché di quieto ci sono la squadra e Ancelotti, di quieto ci sono io. Sulla riva della corrente azzurra tutto è inquieto in maniera straordinaria. Tutto è inutilmente inquieto. Tutto conduce a un racconto esplosivo, salvo il fatto che nulla esploderà, nulla esploderà nemmeno se ci fosse la rivoluzione, perché questa inquietudine si muove intorno al gioco del pallone, che è un gioco.
La corrente azzurra è qualcosa che dovremmo assecondare, un fiume dentro il quale nuotare e lasciarsi trasportare fino al mare. O camminare lungo la riva e guardare l’azzurro che si increspa, si muove, si ritrae, scivola, affonda, trascina in basso, s’alza, trattiene, forma un’ansa, ne forma un’altra. Potremmo sederci e guardare, lì ci sarebbe concesso anche il pensiero a cose obliate, come scrive Trakl, che sono le perdute, le andate, le sfumate. A quel punto non ci recherebbero alcun danno, ma ci darebbero quel pizzico di malinconia affettuosa che solo ogni tanto avvolge chi è capace di guardare al futuro.
Il futuro è quella cosa che sta nascendo sotto i nostri occhi e che si chiama Napoli. Napoli e futuro sembrano due parole non accostabili, e invece Napoli storicamente è fatta per il futuro. Quando è stato tempo di rivoltarsi la città ha fatto da sola, ha fatto prima e per tempo. Napoli il futuro c’è l’ha nel Dna, il gioco al passato è solo un gioco, perché la nostalgia è bella. Belli sono i tempi che furono, anche se probabilmente non li conosciamo.
Badate bene, parlo solo di campo. Fuori dal rettangolo di gioco non mi sta piacendo nulla. Non mi piace il presidente, non mi piacciono gli amministratori della città, non mi piacciono i tifosi che non vorrebbero De Laurentiis – perché altri che comprano il Napoli all’orizzonte non ne vedo – e non mi piacciono quelli che lo difendono ad ogni costo, quando molto spesso è indifendibile. Mi piaceva Sarri non chi lo voleva come capopopolo. Mi piace Ancelotti non chi lo vorrebbe come un baluardo di una Napoli diversa. Sarri non era dei Quartieri, Ancelotti non è di via Manzoni. Sono uomini che fanno il proprio lavoro meglio di altri. Tenete loro e noi stessi fuori da questa stupida guerra che col pallone non ha niente a che fare.
La corrente azzurra è Ancelotti, che al momento è di Fuorigrotta perché lì si gioca, lì avviene ciò che dovrebbe interessarci, lì, ieri, il Napoli ha battuto la Fiorentina. Ricordatevi che parlo solo di campo. Ancelotti è intelligente e simpatico. Non mi piace lo stadio con poca gente, eppure credo che i tifosi siano i meno colpevoli. Io posso fregarmene dei prezzi e dello stadio, abito lontano, mi basta un computer e da casa può starmi sulle balle chiunque, ma questo vale se su certi argomenti me ne sto in silenzio, perché temo di non saperne nulla.
Il Napoli ieri ha vinto meritatamente, la squadra mi è parsa sempre in controllo, la Fiorentina ha tirato in porta una volta sola. Il gol che abbiamo fatto è stato bellissimo, rimaniamo così nella tradizione del Napoli che ne fa quasi sempre di belli. Mi è dispiaciuto che il racconto del gol si fermi a Milik e a Insigne, quasi dappertutto non è stato citato il passaggio di Hamsik a Milik. O meglio, il passaggio c’è, non si dice chi l’ha fatto. Perché? Al momento non conviene raccontare un buon Hamsik, uno che si è rimboccato le maniche e ha detto: “Ok, ricominciamo daccapo”. Non è un Napoli ancora spettacolare ma è un ottimo Napoli e a me va molto bene così.
«Si farà una gran fatica, qualcuno / direbbe che si muore –», è lo straordinario attacco di una poesia di Giovanni Raboni (di cui oggi ricorre l’anniversario della scomparsa), la fatica la si fa e la si farà, partita dopo partita. Ci deve interessare la fatica che la squadra fa sul campo e la sofferenza nostra di quando perdiamo, o di quando stiamo perdendo e poi vinciamo. Ci deve interessare la fatica di Mario Rui quando strappa il pallone dai piedi di Chiesa. Ci deve interessare il campo, il resto sono cose e persone che non ci riguardano, destiniamole all’oblio, sfumiamole, mettiamole in controluce, facciamo sì che il campo se lo prendano i calciatori, andiamo a vederli giocare.