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Ponte Morandi. Lo Stato accusa Autostrade ma la Procura non assolve il concedente

Il punto sulle indagini. I tecnici del Ministero accusano Autostrade di non aver trasmesso documenti allarmanti prima del 2017. In una relazione del 1967 la preoccupazione di Morandi

Ponte Morandi. Lo Stato accusa Autostrade ma la Procura non assolve il concedente

Emergono ogni giorno nuovi elementi dalle indagini in corso sul crollo del Ponte Morandi, sia in termini di documenti che di dichiarazioni dei tecnici ascoltati dalla Guardia di Finanza.

I tecnici del Provveditorato: ‘Autostrade non ci ha trasmesso tutte le carte’

Nel giro di pochi giorni sono stati interrogati (e le dichiarazioni messe a verbale) cinque tecnici del Provveditorato alle opere pubbliche di Liguria e Piemonte – diramazione regionale del Mit –:  Salvatore Bonaccorso, Roberto Ferrazza, Giuseppe Sisca, Mario Servetto e Antonio Brencich. La Stampa, oggi, scrive che “almeno un paio” tra loro “l’ha messa giù in modo quasi brutale: ‘Autostrade non ci ha trasmesso tutte le carte potenzialmente allarmanti sulla stabilità del viadotto’”.

Al progetto presentato da Autostrade per l’intervento sui tiranti non sarebbero stati infatti allegati tutti i documenti utili. “C’erano sì studi del 2016 e del 2017 – scrive La Stampa – eseguiti da Cesi e dal Politecnico di Milano, che focalizzavano un calo di capacità nel sostegno poi crollato; è indubbio che un altro report descrivesse come più usurato il pilone rimasto in piedi, a riprova con il senno di poi che il ponte poteva spezzarsi nel tratto che sovrasta le case. Tuttavia non c’era, tra gli altri, lo studio che Morandi eseguì nel 1981 specificamente sul pilone 9, in cui dichiarava che il deterioramento prodotto dagli agenti esterni progrediva oltre le previsioni”. Quel dossier, come scritto ieri, secondo gli inquirenti “annulla qualsiasi ipotesi di imponderabilità”.

Il Ministero: “Autostrade non ha mai trasmesso report allarmanti”

A Roma sono stati ascoltati i dirigenti della Divisione generale di vigilanza sulle concessioni autostradali (in questo caso si è trattato di colloqui informali, non verbalizzati) che hanno rimarcato – scrive sempre La Stampa – che dalla privatizzazione in avanti Autostrade non avrebbe mai trasmesso report allarmanti sulla tenuta del Ponte.

I tecnici hanno anche riferito che le richieste del ministero sullo stato generale dei principali viadotti italiani sarebbero rimaste senza risposta: “Il ministero, hanno appurato gli investigatori – scrive il quotidiano – aveva chiesto delucidazioni del genere a metà 2017”. Solo dall’autunno scorso, dopo una serie di rinvii, Autostrade ha “deciso di circoscrivere le procedure per la ristrutturazione degli stralli del pilone 9” (il restyling sarebbe iniziato ad ottobre) e solo il 28 giugno scorso Autostrade in una lettera chiedeva di velocizzare l’incremento di sicurezza necessario sul viadotto.

Secondo Il Fatto Quotidiano, le lettere in cui Autostrade chiede al Mit di accelerare l’approvazione del progetto sarebbero addirittura cinque, oggi acquisite dalla Guardia di Finanza ed inviate tutte tra febbraio e fine marzo: “In tutte, con toni più o meno accentuati, si chiede di fare in fretta”. Allarmi chiari secondo la Procura, riporta il quotidiano.

Le responsabilità all’interno di Autostrade

A firmare queste lettere Michele Donferri Mitelli, direttore per la manutenzione di Autostrade che, ascoltato nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza, ha scaricato buona parte della colpa – scrive Il Fatto – sull’attuale capo del tronco di Genova Stefano Marigliani: “Era lui responsabile e aveva una grande autonomia di azione”.

Uno scenario che assolverebbe il Cda e lo stesso ad Giovanni Castellucci ma che non convince gli investigatori anche perché “un appalto da 26 milioni di euro deve per regola passare in Cda per l’approvazione”.

Le responsabilità del Ministero

“Tutto questo, nell’impostazione della Procura – scrive Repubblica – non esime un concedente come lo Stato italiano da poteri di verifica diretta. Tanto più che studi, articoli, libri sulle criticità del ponte erano diffusissimi e non solo nella comunità scientifica”.

L’inquietudine di Morandi in una relazione del 1967

Il mensile di architettura Domus ha scovato un documento del 1967 in cui Morandi presentava la sua opera sul Polcevera. Vi si sofferma il Corriere della Sera a pagina 12, annunciandone la pubblicazione nel numero di ottobre della rivista. Nove pagine battute a macchina con qualche correzione a penna che rappresentano una presentazione tecnica del Ponte.

Nove anni dopo, scrive sempre il Corriere, in considerazione delle “criticità segnalate dal viadotto negli anni appena seguenti e le polemiche che già erano scaturite, l’ingegnere chiese una consulenza ad un giovane professore di Tecnica delle costruzioni della Sapienza di Roma, Remo Calzona”, costruttore di ponti (progettista del ponte sullo Stretto).

Il Corriere riporta il ricordo di Calzona: “Morandi era molto preoccupato per le critiche, si mostrava turbato”. Dopo un sopralluogo al Ponte “fu constatato che l’opera pendeva ed aveva una risposta eccessiva ai carichi pesanti”, per questo in quei giorni “erano al lavoro tecnici che stavano realizzando rinforzi”.

Il professore, oggi 79enne, afferma: “Vidi cose che se ne avessi avuto il potere mi avrebbero indotto a far chiudere il ponte. Il tirante in cemento armato di Morandi era molto pesante. Per raddrizzarne la curvatura si produceva uno sforzo che andava a deformare l’impalcato inferiore”. Calzona riferisce che Morandi si riservò di parlarne con i gestori del viadotto “ma era tenuto fuori da ogni intervento. Soffriva di questa emarginazione, mi pare che se ne sentisse umiliato”.

Il giallo delle telecamere fuori uso

Non esistono video di Autostrade nei quali vengano ripresi gli istanti cruciali del crollo. Lo riporta sempre La Stampa, chiarendo ancora una volta che l’unica sequenza “che riprende in modo parziale lo scempio da sotto è stata fornita da una ditta che ha sede lungo il torrente Polcevera”.

Esistevano tuttavia due telecamere che avrebbero potuto riprendere il disastro: “una era puntata nella direzione opposta al segmento caduto; l’altra, posizionata fuori da una galleria sul lato di ponente, ha interrotto le riprese per un balck-out dovuto a un probabile difetto di alimentazione”. Su questo si stanno concentrando le indagini dei poliziotti della squadra mobile.

La demolizione del Ponte

La Stampa riporta che ieri, a Genova, si sono riuniti tecnici e politici. Al mattino con Cdp, Autostrade e Fincantieri “per parlare degli interventi che Cassa Depositi e Prestiti dovrà fare per la città”, nel pomeriggio con l’ad di Autostrade Giovanni Castellucci ed il suo staff, “per affrontare progetti, tempi e nodi della demolizione dei due monconi sospesi”.

Tra due mesi, sopralluoghi e permessi permettendo, ciò che resta del Ponte Morandi potrebbe scomparire dalla vista dei genovesi. Autostrade ha presentato una bozza del suo piano di demolizione. Si partirà dal troncone est rimasto in piedi, considerato il più pericolante “che verrà demolito attraverso mezzi meccanici alla pila 10 e con microesplosioni alla pila 11 nel giro di un solo giorno. Almeno venti giorni, invece, serviranno per smontare pezzo per pezzo il troncone ovest.

Repubblica scrive che non sono state ancora individuate le ditte che si occuperanno dei lavori, anche perché adesso toccherà alla Procura dare il via libera alla demolizione, dal momento che i due monconi rimasti in piedi sono sotto sequestro e sono ancora in corso le perizie.

L’eliminazione dei resti di Ponte Morandi porterà con sé l’abbattimento di almeno 150 appartamenti sui 251 abbandonati dagli sfollati. Sempre Repubblica chiarisce che nelle settimane precedenti la demolizione il Comune monitorerà le parti del viadotto sopra le case con oscillometri e laser: “Se i risultati saranno positivi, se insomma non ci saranno troppe vibrazioni con il rischio di un altro crollo improvviso, allora sarà data la possibilità agli abitanti sfollati di rientrare negli appartamenti per qualche ora e portare via alcuni oggetti”.

La ricostruzione del Ponte

Autostrade ha presentato anche il progetto per la ricostruzione del Ponte. Lo scrive Repubblica. Sarebbero previsti pochi piloni, ma a forma di V, “per ricordare la struttura del vecchio ponte, forse il simbolo più forte, dopo la Lanterna”. Sopra questa leggerissima struttura di appoggio “verrebbe stesa una trave continua, semplice e lineare”. Nessuno strallo e nessuna sovrastruttura che rievochi il disastro. Repubblica si sofferma lungamente sul progetto a pagina 6.

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