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Pastorin e Imperatore giocano Juve-Napoli nella Frittole del calcio

Il libro è un’immersione in un altrove calcistico, dove la passione è la stessa seppure per squadre rivali. Racconti, aneddoti, gioie, dolori e il calcio come colonna sonora della vita

Pastorin e Imperatore giocano Juve-Napoli nella Frittole del calcio
Scirea e Maradona in una foto di aicfoto

“Juve-Napoli romanzo popolare”

Benvenuti nella Frittole del racconto calcistico. Un altrove che oggi, ahinoi, possiamo archiviare soltanto alla voce fantascienza. Un luogo dove il calcio rimanda ai sentimenti, alle tradizioni familiari e a quella parola ormai dimenticata: la sportività. Dove, sia pure con le lacrime agli occhi, ci si alza in piedi ad applaudire l’acerrimo avversario che si dimostra più bravo. Come il gerarca nazista che scattò alla rovesciata di Pelè in “Fuga per la vittoria”. Un luogo dove il calcio, il pallone, è un intreccio di racconti, ricordi, superstizioni. Dove, in fondo, il calcio non è altro che un modo di raccontare la propria vita.

Questo luogo è “Juve-Napoli romanzo popolare” scritto a quattro mani da Darwin Pastorin e Vincenzo Imperatore. Il giornalista nato in Brasile, che ha amato Anastasi come noi Maradona, che ha raccontato il calcio seguendo il filo delle emozioni. E l’uomo che è diventato il simbolo del paladino dei correntisti oppressi dal sistema bancario per cui ha lavorato nella sua prima vita. Divisi dal tifo calcistico ma uniti dal modo di vivere e concepire il calcio. Si può essere tifosi della Juventus e del Napoli eppure farlo in un modo così simile. L’editore Aliberti è riuscito a metterli insieme e i due hanno trasformato il lungo duello del campionato in un’appassionante sfida di ricordi.

Un luogo dimenticato

La sensazione, per certi versi è straniante, è di ritrovarsi in un luogo dimenticato. Frittole appunto, dove finirono Troisi e Benigni perdendosi in “Non ci resta che piangere”. Lì i due attori si imbatterono in Leonardo e Savonarola; Pastorin e Imperatore, invece, narrano di domeniche che per i più piccoli di adesso è impossibile persino immaginare. Le prime volte allo stadio, quell’attesa che cresceva dentro e che diventava un desiderio insopprimibile. Le corse a perdifiato per arrivare finalmente a mirare quell’immenso prato verde. Le gioie, i dolori, i dispiaceri. I loro racconti intrecciati sono anche un filmato in sottofondo dell’Italia degli ultimi sessant’anni. Come quei servizi in bianco e nero della Rai che descrivono un Paese irrimediabilmente lontano.

Eppure i due rievocano episodi, gioie e amarezze senza nostalgia né senso di tristezza per un passato che non può tornare. C’è soltanto gioia. E soprattutto consapevolezza che per loro due il calcio è stata una componente fondamentale delle loro esistenze. Non contemplano alcun altro modo di rapportarsi a quel gioco tra due squadre di undici giocatori in mutande (come qualcuno ancora ogni tanto ama ricordare).

L’arrivo di Maradona raccontato al papà non vedente

Scorre l’Italia nelle pagine di “Juve-Napoli romanzo popolare”. Scene che potrebbero catturare la curiosità di un regista come Paolo Sorrentino. Pensiamo al racconto di Imperatore della giornata dell’arrivo di Maradona, del suo benvenuto al San Paolo. Il 5 luglio 1984, lui era con un amico in Tribuna laterale (non ancora Nisida) inferiore. E davanti a loro c’erano un padre e un figlio. Il papà era non vedente, e il figlio gli raccontava secondo dopo secondo quel che stava accadendo. Il papà non volle perdersi quello spettacolo per nulla al mondo.

O, ancora, la maledetta sera in cui Pastorin fece di tutto per non guardare in faccia la realtà della morte di Gaetano Scirea. Chiuso in una camera d’albergo di Napoli, col suo Brasile che sembrava fuori dai Mondiali mentre bussavano alla porta e lui proprio non voleva alzarsi da quel letto. E quando lo fece, sapeva che avrebbe fatto meglio a rimanere sdraiato davanti alla tv. E le lacrime che lui, juventino, versò copiose per la prematura scomparsa di Gigi Meroni l’ala beat del calcio italiano.

Tema: “raccontate chi è per voi il più grande protagonista del Novecento”

Leggere il libro è una continua immersione in un’altra dimensione. I racconti familiari di Imperatore, con il papà “malato” del Napoli che il sabato portava la moglie e i figli ad Agnano per andare a guardare le squadre avversarie che soggiornavano all’Hotel San Germano, per cercare di intuire l’umore e le condizioni degli avversari. Altro che passeggiata sul Lungomare o gita fuori porta. Oppure quella volta che la professoressa d’italiano della terza media assegnò il tema: “raccontate chi è per voi il più grande protagonista del Novecento” e il giovane Pastorin a Kennedy e Papa Giovanni XXIII preferì Pietro Anastasi. Che la professoressa, incredibilmente per lo studente!, non sapeva nemmeno chi fosse.

“Juve-Napoli” è davvero un romanzo popolare. È come un servizio firmato Beppe Viola alla Domenica Sportiva. Un calcio che per noi – almeno per chi scrive – sembra irrimediabilmente perduto. Eppure è esistito ed è stato soprattutto per quelle atmosfere che tanti di noi hanno contratto una malattia che nessun vaccino potrà debellare.

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