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Il saluto di Ibrahimovic, l’ego fatto campione che ha cancellato la retorica della bandiera

L’addio al Manchester United e il prossimo passaggio ai Los Angeles Galaxy mette fine alla carriera ad alto livello di un’icona del nostro tempo. Che lascia un’eredità grande e controversa.

Il saluto di Ibrahimovic, l’ego fatto campione che ha cancellato la retorica della bandiera

Los Angeles

Zlatan Ibrahimovic ha detto addio al Manchester United. Quello che succederà ora lo sanno già tutti, anche se non è ufficiale. Si trasferirà negli Stati Uniti, giocherà in Mls, a Los Angeles. Con i Galaxy, il club che fu di Beckham. È l’epilogo perfetto di una carriera irripetibile, la California è un posto perfetto per Zlatan. Potrà continuare a coltivare il culto della propria personalità, senza incorrere nei problemi di una competitività ad alto livello che non può più essere garantita. Neanche per lui, professionista serio e rigoroso nella cura di sé stesso.

Zlatan dice basta dopo quindici anni ad altissimo livello. La sua rivelazione nell’Ajax, tra il 2002 e il 2003, fu una specie di terremoto per il calcio europeo. Non si era mai visto un calciatore in grado di mettere insieme quello strapotere fisico e quella qualità nel trattamento offensivo della palla. Il tutto, condito da una dose massiccia di leaderismo. Ecco, probabilmente Van Basten è stato molto più forte e completo di lui. E ha vinto anche trofei più pesanti rispetto a Ibra. Ma è durato di meno, e non aveva questo piglio di dominatore emotivo rispetto al gioco dei compagni, e degli avversari.

Van Basten

Questione di successi e di tempo: Van Basten ha ballato per sei-sette anni meravigliosi, Ibrahimovic ha raddoppiato la sua longevità. Ha vinto ovunque, e ovunque è stato il protagonista assoluto, ha imposto un carattere difficile ma irresistibile. Persino a Torino, alla Juventus, un club che per definizione fa fatica ad identificarsi con calciatori di questa pasta. Arrivò in bianconero nel 2004, si alternava con Del Piero e Trezeguet. Fabio Capello era in panchina, e capì come dovevano andare le cose: Del Piero più fuori che dentro, perché Zlatan sa fare il fenomeno.

Ibracentrismo e Mino Raiola

L’egotismo di Ibrahimovic si manifesta per la prima volta durante e dopo Calciopoli. È una natura non facile da nascondere, soprattutto se il tuo procuratore si chiama Mino Raiola. Mentre la Juventus scivola verso la Serie B, Zlatan si accorda con l’Inter. Un luogo potenzialmente perfetto per un tipo come lui, infatti saranno tre stagioni fantastiche. Per lui e per l’Inter che si scopre Ibracentrica. Solo che a un certo punto Zlatan inizia a volere di più, perché l’Inter è al top ma non è il massimo. E Mourinho capisce che senza Ibra si può allestire uno squadrone in grado di vincere quella Champions che resterà la maledizione di Zlatan.

Le liti con Guardiola

Barcellona è l’unica impresa fallita di Ibra. Non è facile imporre un certo tipo di retorica nello stesso posto in cui lavorano e vincono personaggi come Guardiola, Messi, Iniesta, Xavi. Le liti con Pep, malcelate dalla stampa spagnola, spiegano che chi si somiglia può anche pigliarsi, ma alla fine gli scontri sono inevitabili. Ibra vive e gioca e pensa per sé stesso. Vince con la squadra, ma la squadra è una sua proprietà. Non poteva condividerla con Guardiola e Messi, figuriamoci. È un pesce fuor d’acqua in quel Barcellona che a occhio nudo sembra una squadra di dieci calciatori più il corpo estraneo Ibrahimovic. Da Barcellona vedrà i suoi ex compagni interisti sollevare la Champions.

Abbandona sempre

Le esperienze al Milan e al Psg sono simili. Zlatan straccia cuori e contratti, senza problemi, l’Inter non esiste più e poi smette di esistere anche il Milan, all’improvviso. Questione di soldi, certo, ma anche di stimoli e motivazioni. Zlatan vince ogni volta che può, fin quando e fin dove gli è possibile incidere. Il Psg può acquistare chiunque e in effetti lo fa, ma resta sempre la squadra di Ibra. Prima della Francia, perde il suo primo titolo nazionale (sul campo) dopo sette successi di fila. È l’ultimo scudetto perso da Allegri, ne abbiamo scritto ieri. Manchester è un’appendice vincente, una passerella finale per provare ad ingannare il tempo che passa e cambia le cose. Zlatan è ancora determinante, ma quando si infortuna lo United inizia a programmare senza di lui. E non è nemmeno una squadra così forte.

Un’icona del nostro tempo

Con il suo saluto al calcio vero, perdiamo un’icona del nostro tempo. Ibrahimovic ha avuto un impatto importante sul calcio postmoderno: per primo ha cancellato la retorica della bandiera, piantando ovunque quella del professionismo più estremo, in senso positivo (il discorso sulla cura del proprio corpo) e in senso “meno positivo” (Juventus, Inter, Barcellona, Milan: in un modo o nell’altro, ha “tradito” ovunque). Il fatto che questo sdoganamento sia avvenuto ai livelli più alti, e lungo una carriera lunga e vincente, contribuisce ad alimentare la sua leggenda. Gli è mancato un grande successo internazionale, diciamo che ha saputo consolarsi. Col conto in banca, col culto di sé stesso. Tutte cose che ha coltivato senza rimpianti.

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