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Entrai (con mio nonno) al San Paolo per tifare Gigi Riva e ne uscii tifoso del Napoli

Un giorno all’improvviso / Calciavo molto forte di sinistro e mi diedero il soprannome Riva. Ma fu una delusione, e rimasi estasiato dal San Paolo che era proprio di fronte casa

Entrai (con mio nonno) al San Paolo per tifare Gigi Riva e ne uscii tifoso del Napoli
Gigi Riva, simbolo del Cagliari

Abitavo a Fuorigrotta

Sono nato nel 1965 e ho passato i primi 6 anni della mia vita a Fuorigrotta, via Lepanto 105, settimo piano. Dalla mia stanza vedevo uno spicchio di San Paolo ma la vera meraviglia ai miei occhi di bambino era la domenica, quando il quartiere si riempiva di colori, musica e allegria.

Siamo ovviamente in epoca pre pay tv, quando fare 60mila spettatori a Napoli era la normalità e mano nella mano con mio padre (che tipicamente borbottava perché con mia madre prossima al secondo parto e con tutto quel bordello la domenica doveva spostare l’auto in zone più adatte ad un’eventuale fuga verso l’ospedale) osservavo incuriosito gli acquafrescai, i venditori di taralli, i pazzarielli, le bandiere, le “marenne” lunghe quanto mezzo braccio, le torme di scugnizzi che cercavano in tutti i modi di entrare senza pagare.

Tifavo Riva (e Cagliari) per il mio sinistro

Non è stato amore a prima vista però: come tutti giocavo a palla per strada ed essendo mancino, quando bombardavo le serrande abbassate dei negozi mi sentivo dire “uah, tene ’o sinistr comm’ a Gigi Riva”. Lo conoscevo bene per la Nazionale, mi informai , scoprii che giocava nel Cagliari e quindi quella divenne la mia squadra.

Un giorno viene a giocare il Cagliari al San Paolo, mi faccio portare da mio nonno a vedere il mio eroe e accade l’epifania: vedere uno stadio pieno zeppo godere, ridere, entusiasmarsi per uno 0-0 senza emozioni mi fa riflettere. Ma non sarebbe meglio far parte di questa banda, tanto più che la tengo sotto casa? Complice anche la prova incolore di Rombo di Tuono (che giudico addirittura più scarso di me), decido di cambiare bandiera.

L’investitura di Juliano

Ci spostiamo in avanti, metà anni 70: da iscritto alla Società Sportiva Partenope (atletica leggera), vado ad allenarmi tre volte a settimana al San Paolo. All’epoca niente centri sportivi, niente Soccavo, niente Castel Volturno, niente divismo esasperato: quando giocava in casa, il Napoli calcio si allenava al San Paolo il venerdì, loro sul prato e noi ragazzini  sulla pista a correre, facendo ammattire gli istruttori perché ovviamente eravamo distratti. Mi ricordo Savoldi che si fermava spesso a parlare con noi, il mio preferito era Braglia con i capelli lunghi e la maglietta fuori dai pantaloncini, Peppiniello Massa e il capitano.

Incrociai una volta Totonno Juliano sulle scale di accesso al campo, io salivo, lui scendeva. Mi ricordo che aveva delle scarpette in condizioni pietose, io lo guardai e le guardai senza dire una parola, lui mi fece l’occhiolino, mi scompigliò i capelli con una carezza e scomparve nei sotterranei del San Paolo.
Avevo avuto l’ investitura: dovevo portare il Verbo in giro per il mondo.

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