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Il Napoli, le polemiche e l’Europa League sempre snobbata. Da tutti

La sconfitta interna con il Lipsia ha riaperto il dibattito sull’approccio del Napoli all’Europa League. La storia del torneo e alcuni precedenti illustri dimostrano che è una situazione classica per la Serie A.

Il Napoli, le polemiche e l’Europa League sempre snobbata. Da tutti
Foto Ssc Napoli

Intensità diverse

Il Napoli arrivava da una delle più belle vittorie degli ultimi anni. La Lazio era stata tramortita, gli azzurri erano sembrati imbattibili, ma già dalle conferenze stampa di Maurizio Sarri si era capito che l’Europa League era diventato un fastidioso ostacolo lungo il cammino del campionato.

Come ha già scritto Massimiliano Gallo il problema non era la rosa corta. L’aggiunta di altri calciatori non avrebbe cambiato molto l’atteggiamento del Napoli nei confronti della partita di Europa League, così come non l’avrebbe cambiato in qualsiasi altra partita diversa dal campionato in questa fase.

Se anche Sarri (come è molto probabile) ha chiesto alla squadra di giocare la partita al proprio meglio (non esiste nessun allenatore che giochi per perdere), i calciatori hanno percepito che mettere in campo la stessa “garra” del campionato era rischioso. Perché una buona partita è basata sul gioco, ma soprattutto sull’intensità. E quella al Napoli è mancata per tutta la partita contro il Lipsia, nonostante gli azzurri fossero passati per primi in vantaggio.

La partita, e la forza del Lipsia

Forse senza l’errore di disimpegno di Diawara che ha favorito il pareggio del Lipsia, il Napoli sarebbe riuscito a portare in porto almeno un pareggio, che si sarebbe comunque tradotto in una più che probabile eliminazione in Germania. Ma dopo quel gol la squadra si è ulteriormente disunita. Ha compreso che era troppo faticoso e dispendioso, nonché rischioso, alzare freneticamente i ritmi per vincere la partita. Soprattutto in una competizione che il Napoli non avrebbe mai potuto vincere.

Fatta questa premessa, parlare di vergogna, di disonore, di rispetto per la maglia fa un po’ ridere. Alcuni tifosi napoletani parlano di onore tradito, ma in cuor loro certamente sogghignano (come tanti altri) per essersi tolti un pensiero. La maglia si rispetta anche quando si perde, soprattutto se a battere il Napoli è stata la seconda forza della Bundesliga. Poi di ranking europeo, importantissimo, ma mai considerato dai tifosi qualcosa di cui realmente vantarsi, se ne parlerà a campionato finito. Perché molto dipenderà dal piazzamento finale del Napoli in Serie A.

La storia dell’Europa League

Chi invece, fuori da Napoli, punta l’indice e accusa il Napoli di disimpegno e addirittura antisportività, bene farebbe a rileggere la storia di questa competizione e di quanto “impegno” hanno profuso nel recente passato tutte le squadre italiane nella competizione europea del giovedì.

Infatti, nelle otto edizioni che vanno dal 2009-10 (stagione in cui la seconda coppa europea è stata denominata Europa League) fino alla scorsa stagione, 32 squadre italiane hanno partecipato a vario titolo a questa manifestazione.

Ebbene, solo in 3 sono riuscite a raggiungere le semifinali, facendosi poi eliminare. Una sola è riuscita ad arrivare ai quarti di finale; ben 10 sono uscite agli ottavi; 8 non hanno superato i sedicesimi; in 7 hanno lasciato la competizione alla fine dei gironi; e in 3, addirittura, non hanno neppure superato i turni preliminari. Un bel palmares per le squadre italiane, non c’è che dire.

Manifestazione come minimo snobbata, e praticamente da tutte. I numeri dicono che tutte (tranne un paio di eccezioni) hanno sempre preferito concentrarsi sul campionato. Anche quando non erano impegnate nella lotta scudetto.

Come in molti ricordano, le uniche squadre a raggiungere le semifinali sono state Fiorentina e Napoli nel 2014-15, e la Juventus nel 2013-14. La prima fu eliminata da una squadra molto superiore (quel Siviglia che vincerà poi la coppa); mentre il Napoli non raggiunse la finale per colpa di arbitraggi che definire discutibili è un eufemismo. E soprattutto per gli errori sotto porta del suo centravanti di allora, quel Gonzalo Higuain capace di segnare gol a grappoli e spesso sparire nelle partite decisive.

La Juventus di Conte (e di Allegri)

La terza poi, quella Juventus i cui cantori sono sempre pronti a impartite lezioncine all’intero mondo calcistico italiano, fu eliminata da una squadra nettamente inferiore (il Benfica), pur avendo l’occasione unica di giocare la finale in casa. Eliminazione dovuta soprattutto ad alcuni cambi operati dall’allora allenatore bianconero, Antonio Conte. Che era preoccupato di non perdere colpi in campionato, nonostante avesse già lo scudetto in tasca e 8 punti di vantaggio sulla seconda in Serie A a poche giornate dalla fine!

Ovvero né più né meno di ciò che ha fatto Maurizio Sarri giovedì sera. Anzi molto peggio. Perché l’obiettivo primario di colui che guidava la Juventus, considerato il miglior allenatore italiano degli ultimi anni, era già stato bello che raggiunto.

Quella stessa Juventus che all’inizio di ogni stagione proclama al mondo intero di volere finalmente portare a casa la Champions League. E che, per bocca del suo allenatore, subito dopo un faticoso pareggio casalingo contro la quinta in classifica della Premier League, cambia idea. E strilla che l’obiettivo primario non è la Champions, bensì il settimo scudetto.

A questo punto mi tengo stretto Maurizio Sarri che almeno, pur senza dichiararlo apertamente, è stato onesto nel far capire i veri obiettivi del Napoli. Se proprio vogliamo definire provinciale il Napoli ed il suo allenatore, non è che dalle parti di Vinovo stiano messi molto meglio…

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