ilNapolista

Lo stadio dell’Atalanta, una storia infinita: dal Brumana all’impianto di proprietà

Lo stadio Atleti Azzurri d’Italia, inaugurato 90 anni fa, ha subito tante ristrutturazioni. Ha ospitato tanti calciatori importanti, che dall’Atalanta sono poi passati al Napoli.

Lo stadio dell’Atalanta, una storia infinita: dal Brumana all’impianto di proprietà
Omar Sivori, con il Napoli, sul campo di Bergamo

Stadio di proprietà

Riavvolgiamo il filo della memoria. Immagini confuse e veloci, in bianco e nero, prese dai cine giornali d’epoca, si confondono con quelle che ci propinano ora le tv a pagamento, a colori, in HD. In entrambi i flash vediamo uno stadio, come era tanti anni fa e come è oggi. A giusta ragione si può pensare che gli stadi, dove si è intervenuto poco o niente nel corso degli anni, siano vetusti, risalgono all’era fascista, ci fanno fare figure barbine nel resto d’Europa, hanno strutture fatiscenti ed obsolete, non si rispettano le norme più elementari. E vengono in mente una serie di impianti. Bologna, Verona, Genova, Milano, Firenze, Ferrara, Torino, Bergamo, tutti costruiti prima della Seconda Guerra Mondiale ma anche il San Paolo, alla soglia dei 60 anni di vita.

Tanti gli impianti dove oggi si gioca la Serie A, tutti con caratteristiche diverse ma con un trend che cresce come una lumaca malata, ovvero gli stadi di proprietà delle società di calcio. Proprio lo stadio di Bergamo, dove il Napoli giocherà domenica all’ora di pranzo, è uno dei cinque della massima serie, con Juve, Cagliari, Sassuolo e Udinese, il cui proprietario è il club che ci gioca.

La storia che ci porta all’attuale impianto bergamasco potrebbe essere un esempio da seguire ( si badi bene, non “l’esempio” in senso assoluto ) per sbrogliare la matassa del “ristrutturare, demolire e acquistare nuovi terreni” che va tanto di moda in questo periodo circa la destinazione da dare ai futuri artisti della pelota partenopea, ai nuovi attori di un San Paolo che potrebbe e non potrebbe esserci più. Da qui a qualche anno le cose cambieranno, non crediamo la querelle tra De Laurentiis e Comune di Napoli possa andare avanti ancora per anni.

La storia dell’attuale “Stadio Atleti Azzurri d’Italia”, però, potrebbe essere un’idea (si badi bene, non “l’idea” in senso assoluto) per trovare una soluzione per l’impianto partenopeo dei futuri anni ’20. Eh, sì, da lì non si scappa. Per le future generazioni di supporter azzurri, quello che verrà sarà lo stadio inaugurato/ristrutturato “negli anni ’20 del 2000”.

Ritagli d’epoca: Savoldi a Bergamo

Dicevamo di Bergamo e delle tappe fondamentali che ne hanno contraddistinto la storia. Originariamente “Stadio Mario Brumana“, niente a che vedere con la “bruma”, la nebbia (che pure copiosa cade su Bergamo), un milite fascista caduto durante i moti che precedettero l’avvento del regime, venne inaugurato nel 1928. Novanta anni fa. Con la fine della seconda guerra mondiale venne tolta l’intitolazione a Brumana e l’impianto fu chiamato “Stadio Comunale” fino al 1994. Il primo ampliamento dello stadio avvenne nel 1949 con l’aggiunta della Curva Sud, poi nel 1984 ci fu l’eliminazione della pista di atletica. Nel 1994 l’impianto, poi, per volontà del sindaco Galizzi, fu intitolato “Atleti Azzurri d’Italia”.

Sembra tutto bello quanto raccontato finora, eppure c’è qualcosa che fa pensare ancora a Napoli per quanto concerne l’area in cui è situato. Infatti anche lo stadio dell’Atalanta si trova in una zona trafficata e con un’alta densità di abitanti. Questo ha fatto sì che, fin dagli anni ’90, si è pensato di costruire un nuovo impianto in una zona più adeguata.

Tutte le ipotesi vagliate, i progetti fatti, nel corso degli anni non hanno portato ad alcuna conclusione e perfino l’idea di spostare lo stadio in un comune adiacente è stata nettamente bocciata. Si decise, quindi, di intervenire sulla struttura già esistente per ottenere un impianto più funzionale e meno obsoleto, adatto ad ospitare le gare sella serie A ed anche incontri internazionali. Allora che fece il buon presidente Percassi qualche tempo fa? Investì nell’ammodernamento delle tribune, adeguò gli altri settori e creò un parterre per circa 400 spettatori nei quali inserì le panchine delle squadre.

Il Napoli 1952-53 schierato a Bergamo (con Casari)

Il colpo di scena finale arrivò nel 2017, pochi mesi fa. Il comune mise in vendita l’impianto partendo da una base d’asta di circa 8 milioni. Percassi offrì il 10% in più e si aggiudicò l’asta battendo l’altra partecipante, l’Albinoleffe, squadra di Lega Pro. Solo l’8 agosto del 2017 la società acquirente, denominata Stadio Atalanta s.r.l., perfezionò l’atto di passaggio di proprietà dell’immobile e la Dea ha potuto iniziare il campionato in uno stadio tutto suo. Potremmo dire che dagli anni ’20 del 1900 siamo arrivati all’oggi, al futuro, in modo indolore. Un gran bell’esempio,non c’è che dire.

Il luogo della storia

Vengono in mente tante cose, tante romantiche digressioni. In primis quella di pensare che per 90 anni si giochi sempre nello stesso posto, con i dovuti mutamenti voluti dal tempo che passa inesorabile, che lo stadio di Bergamo rappresenti e abbia rappresentato qualcosa altro per il popolo nerazzurro, non un semplice campo di calcio. È e rimane il luogo degli affetti, della storia, delle vittorie, delle emozioni, della memoria, della prima volta al campo.

Il tifoso sa che lì c’è lo stadio della sua squadra e questo rassicura, sa che questo può essere rimodernato ma la palla della vittoria entra sempre in una delle due porte. Quelle lì, quelle che tu conosci. Saranno cambiati pali e traverse, sarà cambiata la rete, la bandierina del calcio d’angolo, l’erba sarà stata riseminata decine di volte ma il supporter sa che su quel prato ci hanno giocato fior di campioni. Passati anche per Napoli, certo.

Come dimenticarsi di Hasse Jeppson (sopra, in foto), gol a grappoli nel vecchio “Stadio Comunale”, prima di diventare “O banco ‘e Napule”? Come non restare ancora a bocca aperta nel vedere Bepi Casari volare da un palo all’altro della porta? E come non ricordarsi della feroce grinta di uno stopper come Vavassori, uno che la Nazionale l’avrebbe potuta frequentare a lungo senza gli infortuni.

Come si fa a non vedere la fascia di capitano di Ottavio Bianchi, passato ai bergamaschi dopo eccellenti stagioni al Napoli? Come è possibile dimenticare l’elevazione di Savoldi, esploso in nerazzurro prima di passare al Bologna e poi divenire il nuovo acquisto miliardario dopo Jeppson? E Come non pensare alla grinta di Vianello, un mastino che diventò bandiera dell’Atalanta ma che ebbe poca fortuna a Napoli? E il baffo di Mondonico, profeta in nerazzurro e uomo della retrocessione in riva al Golfo? Meno male che prima di lui c’era stato Lippi…

Un nuovo San Paolo

Lo stadio di Bergamo rappresenta, dunque, il luogo sacro, intoccabile ma rimodernabile, inviolabile ma migliorabile. Non è più il “Brumana” ma è esattamente nello stesso luogo. E’ forse quello che vorrebbe la maggioranza dei tifosi napoletani? Demolire il San Paolo, o gran parte di esso, per costruirne uno nuovo nello stesso posto? Caratteristiche che, per certi versi, possiamo trovare in decine di altri esempi. Ne bastano due, eclatanti. Lo stadio di Wembley a Londra, il tempio dei tempi calcistici, il superlativo assoluto, inaugurato nel 1923, fu demolito nel 2003 per essere rifatto daccapo. Ed è ancora lì, nello stesso sito da 95 anni. Mi piace pensare che la porta che spesso centra Harry Kane oggi sia la stessa in cui Fabio Capello segnò il gol della vittoria dell’Italia a Wembley nel novembre del 1973. Dopo la nazionale Inglese, oggi ci gioca anche il Tottenham, mica è una bomboniera intoccabile.

Ritagli d’epoca, ex compagni che si affrontano

L’altro esempio, stavolta italico, riguarda la città di Torino. Lo stadio “Olimpico Grande Torino”, oggi usato solo dai granata, vide la luce nel 1933 e fino al 2006 si è chiamato semplicemente “Stadio Comunale”. Ci giocavano anche loro, i gobbi. Fino al 2010, fino all’inaugurazione dello “Juventus Stadium” l’anno dopo. Quindi anche questo stadio è nello stesso posto da 85 anni.

Mi piace pensare che la porta che ha centrato Koulibaly quest’anno in Torino-Napoli sia la stessa che centrò Careca quando fece doppietta a Tacconi nel 1988 nell’incredibile 5 a 3 degli azzurri contro la Juventus. E sempre nella stessa porta Nino Musella nel 1981 matò il Toro come fece Bruno Giordano nel 3 a 1 del 1986 contro i bianconeri, nell’anno del primo scudetto. Vabbè, ogni tanto mi passa davanti anche Altafini che esulta davanti ad un esterrefatto Carmignani. Ma questa è un’altra storia. La porta, però, è sempre la stessa.

ilnapolista © riproduzione riservata