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La foto con Insigne e Callejon è l’emblema dell’egenomia del Napoli su Salvini

Perché Insigne merita di fare il ministro, questo Napoli “appojerà” mentre una città rancorosa non lo farà mai. Un leader populita genuflesso alla bellezza.

La foto con Insigne e Callejon è l’emblema dell’egenomia del Napoli su Salvini
La foto di Salvini con Insigne e Callejon, foto che aprì una polemica infinita

La squadra egemone

Quando ero un imberbe giovanotto di sinistra leggevo più di tutti tale Antonio Gramsci. Ne ha parlato di recente in una bella intervista Antonio Ricci, noto ai più come l’inventore del Gabibbo (non è vero, lui ha “inventato” anche Grillo ai tempi di “Te la do io l’America”, era però un Grillo sorridente, non rancoroso; poi ha, alla corte di Zio Silvio, creato il seminale “Lupo Solitario”, e ancora “Drive In”, etc…). Il Gramsci che più mi affascinava era quello dell’ “egemonia”, concetto frainteso, in realtà compreso meglio da chi lo stigmatizzava a parole (per esempio, la DC della TV degli anni ’60 e ’70); fu liquidato non dai berluscones ma da Mario Tronti tempo addietro.

Mi chiedevo, in quegli anni, come mai la sinistra che si chiedeva come far breccia nel centro del paese, nella borghesia piccola e media, non solo non la conquistava ma si faceva pian piano rosicare voti proprio tra gli operai e poi nelle periferie, nel sottoproletariato, che però non era stato mai il suo forte. Tutto ciò con quello che sto per dire c’entra poco o relativamente, oppure no.

La squadra egemone nel paese, nazionale e popolare, lo dico a rischio di farmi fucilare sic et stantibus, è stata sempre la Juventus, squadra del padrone di Torino, divenuta squadra dei suoi operai, ma anche di eminenti sindacalisti, esponenti del PCI: nazional popolare, ma anche squadra di buona parte del sud, da Lecce alla Trinacria, fino a Cercola, alla provincia che schifa Napoli (ma fatta da gente che quando va in vacanza si presenta come “di Napoli”).

Le cose cambiano

E succede che un leader populista (detto senza disprezzo), ma un po’ rozzo, forse anche razzista, forse no, oggi per racimolare qualche voto al sud (ma, tranquilli, senza riuscirvi nemmeno con questa trovata) si faccia fotografare con due giocatori del Napoli. Uno è l’idolo di Napoli (in precedenza, però, fischiato dai distinti del San Paolo). Che come è naturale che sia, insieme allo spagnolo del gruppo, acconsente a farsi un selfie. Sorridendo, come di rito. Avrebbero fatto lo stesso con Renzi. Con Di Maio. Con la Meloni o con D’Alema. Ma… apriti cielo.

Ora, è chiaro che ognuno da alle cose l’interpretazione che vuole e che è più prossima alla sua sensibilità e visione del mondo, ma vederci altro, rispetto a ciò che ho detto, è davvero surreale. Nella foto c’è un leader, forse juventino, forse milanista, che fino a qualche tempo fa cantava i soliti cori sul Vesuvio e adesso viene a chiedere una foto con due giocatori del Napoli. È una genuflessione. Ma ci vogliamo leggere altro. Ok, ci sto! Tra il serio e il faceto ho scritto su Facebook che la foto è straordinaria e che Insigne merita di fare il ministro.

La risposta sul campo

Vado a spiegare. Insigne si rivela un grande-napoletano proprio per questa indifferenza, questo “facciamoci una foto con questo qui e sorridiamo”, così lontana, per esempio, dalla linea del sindaco, così distante dalla devastazione di Viale Augusto di qualche mese fa per impedire ad un Salvini ignorato dai più di parlare a Napoli, dallo scassiamo tutto e poi andiamoci a prendere uno Spritz a Piazza Bellini o ai baretti di Chiaia, ma così vicino (il “gesto” di Insigne e Calle) all’atteggiamento imperturababile della sirena coricata sotto la Montagna che contempla placida il mare.

Che sceglie la risposta sul campo con la bellezza del gioco e sa che non l’indignazione ma l’ironia – dai Blues Brothers in poi, da Troisi con la sua battuta sul Sud Africa – è la sola arma contro gli stronzi.

Insigne, certo inconsapevole (ma questo è ancora più bello perché genuino), riconduce tutto alle vere radici nostre e rottama ciò che c’è in mezzo, tra quelle e un presente che è già glorioso. Per la squadra, non so se anche per la città. Naturalmente uno può stupirsi per questo mio delirio, io, davvero, mi stupisco che qui ci sia chi non vuole far parlare gli altri. Chi pensa che Insigne e la Società Calcio Napoli abbiano commesso un errore e che questo errore porterà voti al leader leghista (qui a Napoli? ma siamo seri!). Chi ritiene che se un giornalista intervista un fascista – ad esempio, che so, Franco Freda – è anche lui un fascista, non uno che fa il giornalista e vuole capire.

L’appojometro

Per stasera ho predisposto un apparecchio, l’ho chiamato “appojometro“. Registra il livello, il tasso di “appojamento”. Spero che stasera, dopo le 20,45 registri i picchi delle precedenti partite di questa straordinaria macchina (non “da guerra”, ché porta male) che è il Napoli di Maurizio Sarri, uno che ci sta abituando a uno stile diverso, che ci insegna che è il campo che parla, uno che, come ho scritto in passato, ha zittito tutti i suoi detrattori e promette ora ai tifosi un futuro prossimo di gloria.

Intanto ho sperimentato l’apparecchio in queste ore di prepartita, l’ho avvicinato allo stereo che trasmetteva Pino Daniele che cantava “E allora si, che vale ‘a pena ‘e vivere e suffrì, e allora si, che vale ‘a pena ‘e crescere e capì”. Era al top. Idem con Caruso. John Lee Hooker. La signora del palazzo di fronte che alluccava alla figlia che non si vegliava: “Bucchì, te vuò movere a glì a fatica'”.

È invece atterrato – l'”appojometro” e anche qualcos’altro – leggendo i commenti dei soliti permalosetti sui social di fronte alla meravigliosa foto, sì, di due uomini di colore, o comunque neri a metà, con Matteo Salvini: no, questa Napoli di piccolo-napoletani, napoletanini, aggrappati ai bidet, ai primati borbonici, ma in fondo ignorante della grande tradizione, da Ferdinando Russo a Eduardo, a Mimì Rea, non appoja. Forse non appojerà mai. Per gli altri, tutti gli altri, tanti altri di questa terra, non per loro, urleremo stasera: Ciuccio, fa tu.

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