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Peppe Massa, quando i Club Napoli venivano intitolati ai calciatori

Il ricordo del calciatore napoletano che Vinicio volle per completare la sua squadra. Un giorno indimenticabile al club a lui dedicato

Peppe Massa, quando i Club Napoli venivano intitolati ai calciatori

Della Torretta

Ci sono dolori che non sembrano naturali ma che restano dentro fino a quando si amerà la squadra del cuore. Perché sono prematuri e inconsciamente non li vogliamo accettare. La propria squadra dell’anima, nel caso del “girovago” Peppe Massa dalla Torretta, non poteva che essere il Napoli. E il dolore di un popolo sembra sincero, forse più diretto, quando la notizia non la apprendi dai mass media ma dai social, dalle voci che si rincorrono, dall’“è vero o non è vero”. Nel mio caso è stato un lapidario commento di un amico, evidentemente informato nel giro di un’ora di quanto era successo. Il suo “sono a pezzi” sulla foto di Massa non lasciava presagire nulla di buono. E così è partito l’esercito dei commenti, delle foto postate, dei ricordi, del triste funerale. “La morte ai tempi di Internet”, se mi passate il titolo.

Questa volta, però, la falce assassina è arrivata troppo presto. A 69 anni, se hai giocato a calcio, sei un giovanotto. Se un ex atleta è rimasto a lungo nell’ambiente, ha quasi sicuramente un fisico da invidia. Nel caso di Massa era così, il nostro non si era fermato dopo aver appeso le scarpe al classico chiodo dopo un’esperienza al Campania. Allenatore in scuole calcio, poi nelle giovanili del Napoli ma mai fermo. Chi lo ha tradito, il cuore, era quello che una volta lo faceva correre e trotterellare sulla fascia destra della splendida squadra di Vinicio, quello che lo faceva inarcare in volo per splendidi gesti tecnici (una sua rovesciata al Vicenza rimane ancora oggi uno dei più bei gol visti al San Paolo), quello che lo faceva rincorrere, se necessario, il terzino sinistro avversario fino alla bandierina del calcio d’angolo. E non era un cuore matto.

L’anello mancante del Napoli di Vinicio

Il Napoli, croce e delizia di “Peppiniello”. Delizia perché quando giocò per un biennio con l’Inter non vedeva l’ora di cambiare aria e in più di un’intervista ammiccava al suo ritorno in “patria”. Evidentemente l’aria di Milano non faceva bene alla ancora giovane coppia partenopea. Sembrava un esilio. I figli piccoli, la nebbia, l’impiego esclusivo per mettere i cross al centro per la testa di Boninsegna, una collocazione tattica fuori dalla sua visione tutto pepe, brio e vivacità. Una vita insieme, lui e la signora De Luca, figlia di uno dei fiorai più famosi di Napoli.

Un ritorno a casa desiderato, voluto e concretizzatosi quando Vinicio lo indicò come l’anello mancante, il bilancino, per far funzionare il suo dinamico e propulsivo centrocampo. Juliano, Esposito e Orlandini aspettavano l’arrivo di Massa come il pane. Giunse, in effetti, anche Rampanti ma il ragazzo, ex Internapoli, era molto più finalizzatore del tamburino sardo. Il Napoli fu, però, anche “croce” quando lo diede all’Avellino per poche lire dopo che il suo score segnava un gol ogni 4 partite,  la vittoria di una Coppa Italia, di una Coppa Italo-Inglese e di un secondo posto in campionato in quattro anni.

Giocava nell’Internapoli

Stava tornando a casa, ai Colli Aminei, per assistere all’andata dell’incontro tra Manchester City e Napoli quando un infarto lo ha fulminato. È questo il motivo di una incredulità e di una vita spezzata quando Peppe Massa doveva ancora iniziare solo a pensare al libro dei ricordi. Un volume la cui copertina sarebbe stata segnata dai colori tenui del celeste laziale, del bianco azzurro dell’Internapoli e dall’azzurro del Napoli. Come le sfumature del mare e del cielo di una città che non ha dimenticato i suoi riccioli, il suo essere cinque centimetri più alto di Insigne (una caratteristica che all’epoca lo bollava come “ala piccola e sgusciante”), il suo “dai e vai” coi compagni, il suo inarcarsi in area per colpire di testa palloni apparentemente impossibili. La sua napoletanità e il suo sigmatismo, la classica zeppola, nel parlare che lo rendeva simpatico e affabulatore. Con quella faccia un po’ così, quella faccia da scugnizzo furbo e intelligente.

Il bambino a sinistra è Davide Morgera

Il Club Napoli Massa

Volevo legare il mio ricordo di Massa con quanto avvenne quando ero un paffutello bambino di scuola media. Sono cresciuto in un piccolo centro, oggi cittadina a tutti gli effetti, il cui “Club Napoli” fu appunto dedicato al compianto Peppe. Per anni lo striscione col nome della piccola ala ha campeggiato al San Paolo, per anni i fotografi hanno immortalato azioni e gol con quello striscione in bella evidenza. Oggi quei classici striscioni, sui quali gruppi di veri tifosi incidevano in maniera profonda e permanente il nome della città/paese con accanto quello del giocatore, non ci sono più. Svaniti, evaporati, persi in una nebbia ingiustificata.

Oggi allo stadio si legge solo “Club Napoli” più il nome del luogo da dove provengono i tifosi che ci sono alle spalle. Questo lascia presupporre che i giocatori non vanno più nei club e che non c’è più il calore, l’intimità e la passione che c’era quando si andava ad inaugurare un nuovo club Napoli. Ricercarne le cause è uno spunto per future riflessioni ma siamo sicuri che quel rito, quelle atmosfere legate all’arrivo di un calciatore nella sede del club, quel brindare ai futuri successi degli azzurri, manca enormemente. Oggi, dietro quegli striscioni, c’è un’anonimia ed una tristezza infinita. Se una volta si leggeva, tanto per dirne una, “Club Napoli Acerra Carmignani” sapevi che il portiere era andato (aggiungiamo “volentieri”, a chi non piace il bagno di folla?) ad Acerra e la cittadina aveva vissuto una serata di festa.

Il taglio del nastro

Nel 1975, doveva essere tarda primavera viste le foto e gli indumenti indossati, l’ala destra del Napoli tagliò il nastro del club che ha portato per anni il suo nome. Era il primo imbrunire, ressa e calca incredibile, tutti volevano l’autografo e la foto di rito con Peppiniello, ormai entrato nel cuore dei tifosi partenopei. Cercai in tutti i modi di intrufolarmi in quel surriscaldato club e riuscii, proprio come i tifosi che erano alle spalle di Necco nei collegamenti con “Novantesimo minuto”, a farmi immortalare dal fotografo insieme a Massa. Quella foto, insieme ad altre, resta la testimonianza di un evento che, pensate, era stato tenuto celato fino a poco prima dell’arrivo di Peppe nella sede. Spumante, tagli di nastro e il perenne sorriso della riccioluta ala che si buscò pacche sulla spalla e strette di mano a iosa. Quella e le altre foto di quell’evento sono ancora lì, in quella sede, a far bella mostra di sé e a formare una grande N sulla parete.

Sono stato di nuovo, con profonda nostalgia, in quel club in questi giorni. Sapevo di quelle foto ancora appese al muro e ho voluto che il tempo si fermasse un po’, che Massa stringesse ancora il mio “cinque”. Tutto sembra uguale a quegli anni settanta, perfino l’aria che si respira sembra quella di 40 anni fa, qua non sembra passato nemmeno il Napoli scudettato. Qualche coppa dimostra l’esistenza di una squadra da tornei tra bar, una bacheca con qualche annuncio per i vecchi e nuovi soci e soprattutto solo foto di altri tempi alle pareti.

Di Maradona e scudetti vinti nemmeno l’ombra, in questo club gli anni ottanta e novanta sembrano non essere mai arrivati. Pensate che il giocatore del Napoli più recente del quale esistono testimonianze fotografiche è Rudy Krol, poi c’è un poster di Juliano ingiallito, un Savoldi impolverato e le gigantografie delle tre squadre che ci fecero sognare con Luis Vinicio, dal 1973 al 1975. Massa era bassino, quindi lo troviamo sempre accosciato. E sorride.

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