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Sylos Labini: «L’Università ha introdotto le quote per le donne, nessuno ne parla»

Intervista al professore dell’Università di Pisa: «C’è differenza tra l’anedottica sul rapporto tra donne e gli studi scientifici che non sono riassumibili con un titolo»

Sylos Labini: «L’Università ha introdotto le quote per le donne, nessuno ne parla»

Nei giorni scorsi, a proposito della propensione – secondo noi piuttosto evidente – delle donne a schierarsi spesso contro le altre donne, abbiamo citato una ricerca condotta da Mauro Sylos Labini, professore associato di Economia all’Università di Pisa. Lo studio, pubblicato su The American Economic Review nell’aprile scorso, evidenzia che la presenza femminile nelle commissioni giudicatrici dei concorsi universitari può penalizzare proprio le donne. Su Twitter, però, il professore ci aveva spiegato che il risultato non sembra dovuto alla rivalità fra donne ma all’interazione tra donne e uomini. Per saperne di più abbiamo deciso di intervistarlo.

«I nostri risultati non sono dovuti alla cosiddetta “sindrome dell’ape regina”, ovvero quella secondo cui le donne che arrivano in una posizione di prestigio, che fanno carriera, tendono ad essere relativamente più severe con le altre donne – ha chiarito subito Sylos Labini – È una teoria che si basa soprattutto su evidenze aneddotiche: non mi risulta esistano, in sociologia ed economia, studi approfonditi che dimostrino che il problema esista».

I risultati dello studio

Non è questo che mostra il vostro studio, dunque?

«Esatto. Noi abbiamo analizzato le commissioni universitarie in Italia e Spagna e abbiamo trovato che effettivamente, in entrambi i paesi, la presenza di più donne in commissione non aumenta la probabilità di promozione delle donne. In Italia, addirittura, c’è un effetto negativo; in Spagna dipende dal settore e dalla commissione. Grazie al fatto che, per l’Italia, abbiamo identificato non solo il risultato aggregato ma anche il giudizio di ciascun membro della commissione, abbiamo stabilito che questo effetto non dipende, come suggeriva il vostro articolo, dal fatto che le donne sono più severe con le altre donne, ma dal fatto che gli uomini, quando c’è una donna in commissione, diventano relativamente più severi con le donne».

Effetto licenza

Perché accade questo?

«È molto complicato dirlo con certezza. Ci sono almeno due spiegazioni, di tipo soprattutto psicologico, ma non siamo in grado di dire quale delle due sia più importante. La prima, che secondo me è la più interessante, si chiama effetto licenza o “licensing effect”. Immaginiamo di essere una commissione di tutti bianchi che deve valutare un nero: ci porremmo il problema che stiamo valutando un nero e staremmo attenti a non discriminare. Se invece nella commissione, insieme a noi, ci fosse un nero, magari ci sentiremmo più in grado di farlo, non saremmo più così preoccupati e potremmo essere più sinceri nella valutazione. Non so se è chiaro. Stiamo parlando di effetti molto piccoli, che in aggregato naturalmente hanno un impatto grande. È un meccanismo psicologico che può esserci».

Effetto identità

E l’altra interpretazione?

«L’altra spiegazione è un po’ diversa ed ha a che fare con una questione di identità. Immaginiamo di essere – e questo nell’accademia italiana è possibile – in un settore dove i professori ordinari sono tutti uomini. Fino a che è così, i commissari non ci preoccupano. Ma se, improvvisamente, vedono che c’è una donna in commissione, possono sentirsi minacciati e possono diventare più severi con le donne. Potremmo chiamarlo “effetto identità”. Non so quale possa essere tra i due effetti quello principale, ma uno dei due, probabilmente, determina il risultato che abbiamo registrato».

La credibilità della ricerca

Quanto è credibile la vostra ricerca in termini di dati raccolti?

«Direi molto, perché la variabilità della composizione di genere delle commissioni che abbiamo considerato è dovuta ad un sorteggio, quindi è come se fosse un esperimento. È chiaro che se si guardano le commissioni di Letteratura, Storia o Biologia è più probabile che ci siano donne in commissione rispetto a materie come Fisica o Matematica teorica, ma anche i candidati uomini e donne, in queste discipline, possono avere caratteristiche diverse. La forza del nostro studio, che è poi uno dei motivi per cui è stato pubblicato su una rivista importante, è che in Italia e in Spagna, per vari motivi, le commissioni sono determinate da un sorteggio e quindi la nostra ricerca sfrutta solo le variabilità della composizione di genere dovute al caso. Non confrontiamo Fisica con Letteratura, insomma, ma confrontiamo solo settori in cui, prima del sorteggio, in termini probabilistici, la composizione di genere delle commissioni è identica».

Le commissioni universitarie formate con sorteggio

Perché avete scelto solo Spagna e Italia?

«Perché sono i due paesi in cui le commissioni vengono determinate da un sorteggio e quindi, come spiegavo prima, riusciamo a utilizzare la variabilità nella composizione che dipende solo dal caso. Il fatto che il ministero, per evitare favoritismi, abbia deciso di sorteggiare le commissioni in un insieme di persone che volevano farle e che rispettavano alcuni requisiti di produttività scientifica, ci ha permesso di fare questo studio. Un secondo punto di forza della ricerca è che è su larga scala: non si basa su piccoli settori o su alcune università ma abbiamo centinaia di migliaia di osservazioni. È quello che chiamiamo, nel field, un esperimento naturale su larga scala: esperimento perché c’è un randomizzazione, naturale perché non lo abbiamo fatto noi ma il ministero su larga scala dato che abbiamo tantissime osservazioni. Dal punto di vista metodologico questo è il punto di forza del nostro studio».

Le quote rosa nelle Università

Negli altri paesi come sono formate le commissioni se non con il sorteggio?

«Negli altri paesi è diverso. Nel mondo anglosassone non c’è questo doppio binario, prima l’abilitazione e poi i concorsi locali. Di solito le università hanno più autonomia nel reclutamento. Sono altri sistemi. La cosa che mi sorprende è che alcune università italiane hanno adottato delle “quote di genere” e la cosa è passata relativamente sotto silenzio. L’ho scritto in un articolo su La Voce: La Scuola Normale di Pisa, in caso di pari merito accademico, dà la preferenza al candidato appartenente al genere in netta minoranza. Il Politecnico di Torino, invece, ha adottato quote di genere sia nel consiglio di amministrazione sia nelle commissioni di concorso».

Ci siamo imbattuti nel suo studio cercando in rete analisi sui comportamenti delle donne contro le altre donne. Dopo questa chiacchierata, però, mi sembra che il dato che abbiamo citato anche noi, preso da solo, sia molto limitativo. Come mai i media hanno riportato solo quello?

«Mi dispiace dirlo ma credo che abbia a che fare con il vostro mestiere. Voi giornalisti spesso cercate un titolo e quell’interpretazione dei nostri risultati era quella che faceva più presa. In realtà l’Università di Pisa ha scritto un comunicato stampa con cui cercava di spiegare meglio le cose, invece molti dei suoi colleghi hanno titolato “Eva contro Eva”. Non è che poi mi sia messo a scrivere a tutti… È chiaro che, dal punto di vista della notizia, quella interpretazione avrebbe attratto più clic ma certo è sminuente».

Gli effetti culturali nelle scelte delle donne

Prima parlava di diversità di genere dei candidati e dei docenti a seconda delle varie discipline. Come si spiega questo fenomeno?

«Esiste tutta una letteratura che dimostra che, a parte qualche differenza, ci sono meno donne che intraprendono carriere accademiche e lavorative dove c’è tanta matematica. Una serie di studi, tra cui anche quello dell’economista italiano Luigi Zingales, dicono che in gran parte questo aspetto è culturale, dipende da come, fin da bambine, le donne vengono abituate dai loro genitori e in particolare dai propri padri a pensare di essere meno portate per la matematica, cosa che poi è una grande sciocchezza. Questo effetto culturale si ripercuote nelle scelte di carriera universitaria e lavorative».

E’ importante denunciare

Come uomo, lei cosa pensa delle dichiarazioni di Asia Argento contro Weinstein e di tutto quello che hanno scatenato?

«Non credo di essere la persona giusta per esprimere un’opinione su questo tema. Penso comunque sia molto importante e positivo che ci sia più trasparenza e che chi crede di aver subito un torto o una violenza racconti la sua esperienza. Ovviamente il circuito mediatico può avere delle degenerazioni e voi avete una grande responsabilità. È per esempio anche molto importante distinguere tra situazioni diverse: una cosa è la violenza sessuale, un’altra è l’abuso di potere, un’altra ancora lo scambio di utilità. Bisogna distinguere tra le diverse fattispecie».

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