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Jorginho è il personaggio: salvatore della patria o ritorno dell’oriundo nefasto?

L’Italobrasiliano dovrebbe essere il regista titolare, questa sera. La Gazzetta ricostruisce la sua storia italiana, Repubblica ricorda il caso del 1958: allora la colpa fu data ai naturalizzati.

Jorginho è il personaggio: salvatore della patria o ritorno dell’oriundo nefasto?

Ne scrivono Gazzetta Repubblica

Venne il giorno di Jorginho. In Italia, per l’Italia. A sorpresa, certo, e sono gli stessi giornali italiani a scriverlo. Perché Jorginho ha giocato zero-minuti-zero durante l’anno con Ventura ct. E ora buona parte delle speranze di qualificazione mondiale dell’Italia sono affidate a lui. E se questa definizione può sembrare esagerata, non è comunque fuori dal mondo identificare la sua regia come la svolta tattica di una nazionale che non cambia. O che comunque cambia poco.

La Gazzetta ricostruisce la storia “italiana” di Jorge Luiz Frello. Il nonno vicentino, le due gare amichevoli, il «corteggiamento sfumato» di Tite per il suo Brasile. E il botta e risposta con Ventura, altroché. Il ct e il regista del Napoli si erano punzecchiati quest’estate, poi però l’improvvisa retromarcia del ct. Convocazione e maglia da titolare a sorpresa, questa sera. Fino a prova contraria. Sempre possibile, conoscendo Ventura.

La suggestione antica di Repubblica

Il pezzo di Gazzetta è più che altro narrativo. Diverso, invece, il racconto di Jorginho partorito da Repubblica. Già dal titolo si intuisce: “Ci mancava l’oriundo. Joeginho è il fantasma che ora evoca il 1958. Le colpe dell’ultima eliminazione furono attribuite ai naturalizzati. Cosa si scrisse in Italia dopo il fallimento”. Ecco, tanti auguri.

Il concetto è semplice: «Certo è curioso affidarsi all’unico “oriundo” della rosa azzurra proprio nella partita su cui incombe lo spettro del ’58: la sconfitta di Belfast, l’unica esclusione italiana dalla Coppa del Mondo. Forse Ventura non lo sa, ma la responsabilità della peggior figuraccia della nostra storia la accollarono al ct Foni per una decisione, in particolare. Mandare in campo una pletora di calciatori che, di italiano, avevano solo un nonno o forse uno zio dimenticato. Schiaffino e Ghiggia, gli eroi del Maracanazo, Montuori e Da Costa: erano loro i Jorginho di ieri su cui s’accanirono le penne d’Italia».

Da qui in poi, giù virgolettati tratti dalle cronache dell’epoca. Italiane, ma anche straniere. Due momenti simili, allora e oggi. Crisi sistemica, nostalgismo per «quando il football era bello», insomma tutta roba che (ri)sentiamo da tempo. Certo, Jorginho in sé e per sé c’entra poco, se non nulla. Esattamente come Insigne, citato nel pezzo di Repubblica. Leggiamo: «La critica si accapigliava intorno al nome del talento invocato ed escluso: nel calcio senza sostituzioni si chiamava Boniperti però, non Insigne, e pazienza se qualcuno dovesse offendersi per il paragone. La colpa ovviamente è sempre delle scelte del fesso in panchina, questa sì una prassi senza tempo». Ventura, almeno in questo, è davvero in ottima compagnia.

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