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Corcione (Sky): «Insigne è un simbolo: la Serie A meglio della Nazionale»

L’ex direttore di Sky Sport Massimo Corcione spiega le differenze tra l’Italia azzurra e quella del campionato: «Sono sembrati due sport diversi».

Corcione (Sky): «Insigne è un simbolo: la Serie A meglio della Nazionale»

L’editoriale sul sito di Sky

«Il campionato bussa violentemente alla porta e, dal campo, dimostra quanto sia stata distante la nazionale dal livello tecnico dominante». Una delle prime frasi dell’editoriale di Massimo Corcione, ex direttore di Sky Sport, chiarisce subito i concetti alla base di un ragionamento chiaro. Ovvero: il calcio italiano è rappresentato da quello che succede in un campionato, quello di Serie A, che sta vivendo una grande rivalutazione. Anzi, per dirla con le parole di Corcione: «Una rivalutazione totale».

Uno dei simboli di questa differenza è Lorenzo Insigne: «Si identifica totalmente nel Napoli, interpreta con naturale spontaneità la parte del talento italiano, lui che nella partita della verità contro la Svezia non fu schierato neppure per un minuto. Una scelta che distrusse una potenziale attenuante: la colpa non può essere ascritta solo ai 246 stranieri che popolano le formazioni di A».

Ventura e l’Italia

A questo punto, il discorso vira sullo stato dell’arte della Nazionale. Sul fatto che l’esonero di Ventura fosse una scelta «ricorrente ma logica: per tutta la durata del girone eliminatorio il gioco proposto dal campionato e quello proposto dall’Italia sono sembrati sport diversi. Tutto ciò che viene insegnato, provato, attuato, modificato nei centri d’allenamento delle squadre di club ha mai trovato diritto di cittadinanza quando c’è stato da combattere in nome della Patria».

È un discorso che abbiamo affrontato anche noi, nel pezzo sul non-gioco di Ventura. Anzi, Corcione conclude proprio così il suo articolo: «Per fortuna ci sono allenatori e calciatori che con le loro squadre ancora ci divertono. Anzi, ora che si torna in Europa, hanno tutti un motivo in più per vincere: dimostrare che il calcio italiano non è l’Italia. Anche se questo rende tutti più tristi».

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