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Marco Baroni, un sognatore che allena le squadre di calcio pensando al mare

L’allenatore del Benevento assaporò la Serie A col Siena, ma durò tre giornate. Torna nello stadio dove segnò il gol del secondo scudetto.

Marco Baroni, un sognatore che allena le squadre di calcio pensando al mare
Baroni e i giocatori del Benevento

Fuoco giallorosso

Sono passati otto anni dalla prima volta da allenatore in massima serie di Baroni, quando il 29 ottobre 2009 sostituì l’esonerato Giampaolo sulla panchina del Siena: duecentosettanta minuti di gioco ed appena un solo punto prima di lasciare il posto a Malesani. Un cameo, troppo poco per un tipo ambizioso come il 53enne toscano, ma non un addio. Dopo il tentativo mancato con Pescara e Novara e quello più romantico con il Lanciano, l’allenatore sognatore ha scelto la Campania per il ritorno: «Non mi ritengo un calcolatore, ma so ragionare per valutare le migliori opportunità. Qui a Benevento ho sentito che c’era qualcosa di diverso, un fuoco che si sarebbe potuto accendere».

Preferisco il rumore del mare

Benevento è a centotrentacinque metri sul livello del mare, un bel po’ per chi come Baroni lo preferisce alla terra ferma. Quella per il mare è più di una passione, utile anche per la gestione di uno spogliatoio: «Il mare ha molte cose attinenti a quello che è la conduzione di una squadra. La capacità di un allenatore è quella di alzare le vele quando il vento soffia ed è il momento di andare e riuscire anche a vedere quando arrivano i problemi. In mare, come nel calcio, quando ti arrivano addosso è tardi: bisogna precederli, così come bisogna prevedere se arriva la burrasca per abbassare le vele». Quest’anno, per forza di cose, quella del Benevento sarà una navigazione a vista; con il mare – per dirla alla Baroni – spesso in burrasca.

L’amicizia con Conte

Di Tavarnuzze, una frazione di cinquemila abitanti della toscana, per Baroni indossare la maglia viola è sempre stato un sogno. Sogno appena accarezzato da giovanissimo: «A quel tempo era tutto diverso, succedeva che all’improvviso ti dicessero “ragazzo, domani vai con la prima squadra”. A me successe di venerdì, il sabato ero sul pullman, destinazione Milano. Io, alto 187 centimetri, vi giuro che mi sentivo un nano. Era il 2 maggio, Cuccureddu stava male: De Sisti era tentato dal farmi debuttare titolare, invece entrai a pochi minuti dalla fine. Dopo? Collezionai solo una panchina, una ferita che resta ancora aperta».

Una discreta carriera da stopper, impreziosita dal gol di testa alla Lazio, il 29 aprile del 1990, che consentì al Napoli di Maradona di conquistare il secondo scudetto. Dai tanti allenatori incontrati in panchina ha preso qualcosa, anche se piuttosto che in alto Baroni preferiva guardare al suo fianco: «Ognuno mi ha dato qualcosa. Forse l’allenatore che mi ha dato tanti spunti è stato Antonio Conte che reputo un grandissimo». L’amicizia con l’attuale allenatore del Chelsea – di tre anni più piccolo – è nata da calciatore, alla fine degli anni Ottanta quando insieme giocavano nel Lecce. Hanno lavorato poi parallelamente alla Juve, uno allenatore della prima squadra e l’altro allenatore della Primavera.

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