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Così lontane così vicine: Turchia e Venezuela “Imbavagliati” nel gorgo della censura

Prosegue al PAN la manifestazione dedicata alla censura con ospiti del mondo della cultura e del giornalismo che raccontano le proprie esperienze

Così lontane così vicine: Turchia e Venezuela “Imbavagliati” nel gorgo della censura

(Napoli). Ci sono a volte paralleli anche tra paesi e culture distanti migliaia di chilometri. Quando infatti si tratta di censurare la stampa indipendente, di far tacere i giornalisti con qualunque mezzo, i parallelismi tra governi anche lontani, in questo caso Turchia e Venezuela, diventano un’evidenza per qualunque cronista accorto. La persecuzione dei giornalisti dei governi di Erdogan e Maduro è stato anche il tema affrontato nel corso della seconda giornata d’incontri del Festival Internazionale di Giornalismo Civile “Imbavagliati”, in programma fino al 24 settembre presso il Palazzo delle arti di Napoli (PAN). A parlare della critica situazione della stampa in Turchia e Venezuela i giornalisti Fehim Taştekin e Tulio Hernandez.

Giornalista ospite di Imbavagliati

Fehim Taştekin, cronista turco

La repressione di Erdogan sull’informazione

Fehim Taştekin, cronista turco rimasto senza lavoro a causa delle pressioni esercitate dal governo nei confronti delle testate con cui collaborava, e attualmente sotto inchiesta per aver scritto un libro ritenuto ‘prova di reato’, ha tracciato un quadro nero della repressione esercitata dal governo di Erdogan sui giornalisti. Negli ultimi mesi, secondo Tasketin, 180 organi di stampa chiusi con decreti presidenziali, 10 mila addetti del settore rimasti senza lavoro, 2700 giornalisti licenziati a causa delle pressioni del governo, 800 tesserini ritirati, beni confiscati a 54 giornalisti e 130 giornalisti dietro le sbarre: sono queste le cifre che danno il senso della censura messa in atto dal presidente turco.

“Le rivolte di Gezi Park – ha spiegato Fehim Taştekin – hanno avuto un effetto traumatico su Erdogan perché per la prima volta ha sentito di rischiare di perdere potere. Il governo ha praticamente stretto la corda intorno al collo dei giornalisti. Ha avuto inizio un processo di demonizzazione di tutti i nemici e traditori, tipico dei leader fascisti. Erdogan ha tentato di consolidare i sui poteri tra i movimenti nazionalisti polarizzando la comunità turca con un linguaggio offensivo, minacciando le minoranze religiose – ha spiegato Taştekin- In questo modo ha cooptato un braccio civile che è a suo sostegno e a favore della distruzione del movimento curdo.

La tensione è strumentale alla realizzazione del progetto

Il presidente è convinto che la politica della tensione e del conflitto possa spianargli la strada per garantirgli potere a vita. Alimentare la tensione è strumentale alla realizzazione del suo sogno. Oltre alla guerra ingaggiata contro i curdi, ha potuto far leva su un altro fattore: il tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016. Da quel momento in poi, la fase dell’oppressione è peggiorata nettamente. Per lui è stata la manna dal cielo usata come un espediente per dichiarare lo stato di emergenza e fare un giro di vite ulteriore su tutte le forze di opposizione”. Stampa inclusa dunque.

La censura di Maduro in Venezuela

E dalla censura perpetrata con violenza dalle autorità turche, si è passati a quella più sofisticata del regime di Maduro in Venezuela. “Durante l’intervento di Taştekin ho avuto la sensazione che Maduro e Erdogan fossero fratelli gemelli”, ha esordito Tulio Hernandez, giornalista venezuelano costretto a lasciare il proprio paese dopo un intervento televisivo del presidente venezuelano il quale dichiarò forte e chiaro che Hernandez doveva essere arrestato a causa dei suoi tweet perché incitavano all’odio e al colpo di stato.

 

Giornalista ospite di Imbavagliati

Lo scrittore venezuelano Tulio Hernández

“Per la prima volta in molto tempo in America latina non c’è dittatura, il Venezuela, invece, si sta trasformando sempre più in un regime dittatoriale dove l’apparato militare è quello con più forza. Più che una dittatura, lo definirei una forma di neo-autoritarismo – ha dichiarato Hernandez – ovvero un regime politico che vuole mantenere un regime con la maschera della democrazia. Per questo motivo in Venezuela non ci sono detenuti politici come in Turchia, né carcere per i giornalisti”.

In una dittatura la censura è preventiva.

Sollecitato dalle domande del direttore de “La Repubblica Napoli”, Ottavio Ragone, Hernandez ha spiegato che quella venezuelana è una censura più sottile, che non sempre fa ricorso alla violenza, ma agisce attraverso altre modalità: come l’acquisto da parte di privati vicini al governo degli organi di stampa o ancora il ricatto giuridico, che obbliga i giornalisti all’autocensura, per evitare processi.

“Il Venezuela ha in questo momento l’apparato di comunicazione statale più grande della storia dell’America Latina di tutti tempi. Centinaia di istituzioni dei mass media che difendevano la democrazia sono diventate di fatto un’appendice del servizio pubblico di radiodiffusione bolìvariana – ha continuato Hernandez – lo stato possiede due televisioni nazionali, 300 emittenti locali, e circa 40 radio. Per non parlare dei giornali locali distribuiti gratuitamente. In una dittatura la censura è preventiva. Nel comunismo il problema non si pone: la comunicazione è solo statale come il caso di Cuba. Qui in Venezuela, un regime che io definirei “neo- autoritario”, si ha tutto l’interesse a mantenere dei simulacri di democrazia, ma la realtà è tutt’altra”

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