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I cinque anni di silenzio della Juventus sotto ricatto

Le motivazioni della sentenza “Alto Piemonte” confermano il controllo delle curve da parte della ‘ndrangheta. E il silenzio della Juve che taceva e obbediva

I cinque anni di silenzio della Juventus sotto ricatto
Andrea Agnelli presidente dell'Eca

“Alto Piemonte”

Per cinque anni, la Juventus ha subito un clima di violenza e intimidazioni e mai al club degli Agnelli è venuto in mente di denunciare né di informare qualche rappresentante dell’ordine pubblico. È l’aspetto che più colpisce dell’ormai nota vicenda ‘ndrangheta-ultras juventini e che ieri si è riproposta con le motivazioni della sentenza del processo penale “Alto Piemonte”. Processo in cui nessun dirigente juventino è stato indagato, ma che ha portato alla condanna dei Dominello padre e figlio.

La sentenza racconta di come la ‘ndrangheta si sia impossessata nel corso degli anni del controllo della tifoseria organizzata juventina. La Juventus – è il nodo della vicenda – non sapeva che Dominello fosse un esponente della ‘ndrangheta. Ma conosceva i ricatti, li subiva, e taceva. Per cinque anni. Per cinque anni ha contribuito ad arricchire il loro giro d’affari. Collaborazione che sarebbe andata avanti se non fosse intervenuta la magistratura.

“Siamo in presenza di una controllo della ‘ndrangheta”

Così scrive Giacomo Marson il giudice che ha scritto la sentenza: «Siamo in presenza di un vero e proprio controllo della Ndrangheta nella vendita a un prezzo notevolmente maggiorato di consistenti quote di biglietti per assistere alle partite della squadra di calcio Juventus, nel quale questa organizzazione criminale si è inserita conseguendo rilevanti utilità economiche attraverso ingenti quote di biglietti destinati in realtà ai tifosi per rivenderli a un prezzo maggiorato rispetto a quello normale, lucrando sulla differenza».

Di Rocco Dominello, l’inviato della ‘ndrangheta nell’universo del tifo organizzato della Juventus, i giudici scrivono: «Ben chiare e visibili sono le conseguenze del prestigio di questo personaggio, unicamente derivanti dalla sua appartenenza alla Ndrangheta».

L’obiettivo era la pace delle curve

Sorprende e desta anche una certa inquietudine leggere della sottomissione del gruppo dirigente della Juventus alle richieste degli ultras guidati da Dominello. «Dominello ha agito – scrive Marson – quale referente incaricato di mediare nei rapporti fra il mondo del tifo organizzato e la società Juventus, nella cui sfera  si è introdotto sfruttando l’amicizia di Fabio Germani. Ha gestito quale referente della Ndrangheta piemontese i rapporti con il mondo del tifo organizzato».

Il responsabile sicurezza della Juventus, Alessandro D’Angelo, sintetizza perfettamente: «Il compromesso raggiunto è stato che per garantire una partita sicura ha ceduto quanto si biglietti sapendo bene che facevano business».

I giudici torinesi (la procura soprattutto) hanno salvato la Juve da una responsabile soggettiva di favoreggiamento della ‘Ndrangheta che grazie a loro ha decisamente irrobustito il giro d’affari in Piemonte. È difficile pensare che la Juve non avesse capito, che alla Juve fosse sfuggita l’infiltrazione di strani personaggi nella tifoseria organizzata. La sensazione è che abbiano chiuso gli occhi pur di raggiungere il loro obiettivo: pacificare le curve.

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