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Neymar: perché il modello americano non è applicabile in Europa, sono due culture diverse

Gianni Mura parla di modello americano, ma il salary cap è figlio di un sistema che non prevede appartenenza identitaria, dunque non è replicabile altrove.

Neymar: perché il modello americano non è applicabile in Europa, sono due culture diverse

L’editoriale su Repubblica

Abbiamo pubblicato, qualche minuto fa, parte dell’editoriale scritto da Gianni Mura per Repubblica. Si parla di Neymar al Psg. Il testo offre spunti di riflessioni, stimola confronto e discussione. Ecco, noi non ci sottraiamo. Anche perché, lo diciamo subito, ci sono dei punti sui quali non concordiamo. Opinioni, ma anche alcune espressioni dei fatti che non ci convincono. Quello allestito da Gianni Mura è un discorso multiforme, che parte da un confronto col passato che per noi è anacronistico. Mura scrive: «Maradona costò al Napoli 13 miliardi di lire (oggi, più o meno, 16 milioni di euro). Matthaeus all’Inter 8, Platini alla Juve un miliardo (sempre di lire) scarso. Cos’ha di speciale Neymar per costare 40 volte Maradona? Nulla, nada, rien. È un buon giocoliere, rissosetto alquanto, con intelligenza calcistica non eccelsa».

Mura, però, non scrive che c’è tanto altro dietro questo acquisto. O meglio, lo scrive. Ma non gli piace. Si percepisce durante la lettura: «Neymar al Psg è, semplicemente, un’esibizione di ricchezza e di potere. Come comprarsi un Van Gogh o un Picasso, ma con un’eco assai più vasta. Da un po’ il calcio è uscito dagli stadi, tanti dettagli ce lo dicono. Per esempio, chi aveva fama di bad boy faceva fatica a trovare un ingaggio, mentre oggi si fa la coda alla loro porta. Dov’è la logica? I costi seguono una logica di mercato (frase classica). Sì, ma è un mercato impazzito, in mano ai procuratori che faranno il loro mestiere (come i boia, del resto) ma intanto, complici club, calciatori, tifosi, informazione, hanno svuotato il calcio da quello che lo rendeva almeno parente di altri sport: la passione, per cominciare. Il cuore, l’anima»

Il calciatore-industria

Anche se è una cosa che può non incontrare il favore di tutti, oggi il calcio è un mondo diverso. È una zona franca, luccicante e finanziaria. Neymar, al di là del valore sul campo, vale molto di più. È un’industria in calzoncini e scarpette, muove e orienta le masse, le folle, i consumi. Perché è uno dei personaggi del calcio, e il calcio è a sua volta un affare gigantesco. Come tutti i sistemi sportivi più mediatici, del resto.

Ecco perché anche la fase e la frase successiva del pezzo di Mura non ci convincono del tutto («Con Neymar si acquista una griffe, un personaggio molto mediatico. Farà vendere milioni di magliette, ostenterà sui social network l’amata famiglia. […] Ma non confondiamo il valore con il cartellino del prezzo. Quello è il costo. Federica Pellegrini, Valentino Rossi, Roger Federer, o più indietro Pietro Mennea, Sara Simeoni, Josefa Idem valgono molto più di Neymar». Inoltre, aggiungiamo noi, non è che la situazione di Valentino Rossi sia molto diversa: Valentino Rossi guadagna 20 milioni di euro l’anno, e nella MotoGp non ci sono cartellini.

Il modello americano

Mura vuole arrivare al modello americano. L’unico micromondo o macromondo sportivo avvicinabile a quello del calcio europeo. E infatti ci arriva, proponendo l’emulazione degli sport a stelle e strisce per salvare la competitività. Leggiamo:

«In America,  i dirigenti si preoccupano di varare squadre competitive rispettando integralmente i patti. A loro interessano la bellezza dello spettacolo, l’incertezza del risultato, le regole del gioco, e anche il botteghino, ma non solo quello. In un calcio che non è un gioco e dove le regole sono fatte per essere aggirate, sembra un discorso fantascientifico».

Ecco, è qui che vogliamo discutere. È su questo che non siamo d’accordo. Quel che scrive Mura è giusto, se non fosse per un piccolo – ma fondamentale, decisivo – dettaglio. Negli Usa non esiste appartenenza identitaria, i club non sono club ma franchigie. Le squadre si spostano, gli Charlotte Hornets sono diventati New Orleans Hornets e oggi si chiamano Pelicans. Cinque anni fa, i New Jersey Nets sono spariti, si sono spostati, oggi si chiamano Brooklyn Nets.

Senza esagerare parlando di top club, è come se il West Ham United si spostasse a Liverpool, diventando Liverpool United. Cancellando storia e radici, solo perché la piazza è più appetibile dal punto di vista economico. E questa non è un’opinione, ma un fatto spiegato con piani finanziari di mille pagine. Che parlano soprattutto di incassi, introiti, proiezioni finanziarie. Botteghini. I regolamenti americani non permettono di investire oltre una soglia del fatturato – il salary cap -, ma il fatturato dipende innanzitutto dalla città in cui giochi. Se sei libero di scegliere proprio quella, finisce l’equilibrio competitivo prestabilito. È un equilibrio indotto. Senza una relazione con il pubblico, vera o presunta che sia.

Conclusioni

La realtà, che non piace a Mura, è che in un sistema sportivo globale e globalizzato (“continentalizzato”, perché guardiamo all’Europa), che non prescinde da un’identità territoriale anche solo virtuale, non c’è modello americano che tenga. Non c’è modello americano sostenibile, applicabile. È il mondo moderno, è come lamentarsi che oggi il pane costi di più che vent’anni fa solo perché nel frattempo sono arrivati i discount, gli Esseglunga, i Conad. Forse quello di vent’anni fa era pure più buono, ma questo è il mercato. E questo è il mercato che noi vogliamo, che abbiamo scelto, se intendiamo il calcio ancora come espressione di identità socio-geografica. Se lo intendiamo come sport spettacolare e non come spettacolo di sport, come nei palazzetti Nba o negli stadi Nfl e Mlb.

È semplicemente un problema di differenza culturale: noi abbiamo la nostra, loro hanno la loro. Decidere quale sia la migliore non è possibile, si può decidere quale sia la più fruttuosa dal punto di vista economico. Ecco, appunto: il modello degli sport americani è un piano finanziario che si regge su un pallone che rotola o volteggia in aria, su una mazza e una pallina, su una pallovale. È merchandising, è un’esperienza completamente diversa nella fruizione dell’evento e nell’idea stessa che regge l’evento. Noi abbiamo un background diverso, ai quali i grandi investitori internazionali applicano dinamiche di finanza creativa, altissima, diciamo pure maliziosa. Siamo un sistema ancora ibrido, sport e business con tendenza inevitabile verso il business. Neymar al Psg è un’ipotesi (certezza?) figlia di una modernità che forse non è romantica, sportivamente romantica, ma che non ha alternative – soprattutto se vogliamo che alcune cose rimangano come siano.

Oppure, cambiamo tutto. Equilibriamo il sistema. Ma a quel punto come impedire a un investitore che crede nel brand Betis Siviglia, di spostarsi in una città spagnola dove c’è un bacino d’utenza potenzialmente più ampio? Ecco, o Neymar al Psg – con tutte le storture del caso – o questo. Non c’è altra scelta.

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