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Gianni Mura: «Neymar? Il modello americano per salvare il calcio, la passione e pure gli affari»

L’editoriale di Gianni Mura su Repubblica: «In America,  i dirigenti si preoccupano di varare squadre competitive rispettando integralmente i patti».

L’editoriale su Repubblica

L’affare-Neymar offre mille, anzi un milione di spunti. Uno intelligente può essere quello di Gianni Mura, stamani in edicola su Repubblica. Il tema riguarda ovviamente l’investimento mostruoso che il Psg, tramite la Qatar Sports Investments, vuole concentrare su Neymar. 580 milioni di euro, Mura la definisce ironicamente una manovrina. Il suo confronto con il passato: «Lasciamo stare, evitiamo le secche del moralismo, che peraltro sarebbero giustificate in stretta chiave pallonara. Maradona costò al Napoli 13 miliardi di lire (oggi, più o meno, 16 milioni di euro). Matthaeus all’Inter 8, Platini alla Juve un miliardo (sempre di lire) scarso. Cos’ha di speciale Neymar per costare 40 volte Maradona? Nulla, nada, rien. È un buon giocoliere, rissosetto alquanto, con intelligenza calcistica non eccelsa».

Mura definisce quest’operazione con una certa severità: «Neymar al Psg è, semplicemente, un’esibizione di ricchezza e di potere. Come comprarsi un Van Gogh o un Picasso, ma con un’eco assai più vasta. Da un po’ il calcio è uscito dagli stadi, tanti dettagli ce lo dicono. Per esempio, chi aveva fama di bad boy faceva fatica a trovare un ingaggio, mentre oggi si fa la coda alla loro porta. Dov’è la logica? I costi seguono una logica di mercato (frase classica). Sì, ma è un mercato impazzito, in mano ai procuratori che faranno il loro mestiere (come i boia, del resto) ma intanto, complici club, calciatori, tifosi, informazione, hanno svuotato il calcio da quello che lo rendeva almeno parente di altri sport: la passione, per cominciare. Il cuore, l’anima».

La soluzione

Il calciatore social, l’uomo marketing: «Con Neymar si acquista una griffe, un personaggio molto mediatico. Farà vendere milioni di magliette, ostenterà sui social network l’amata famiglia, la madre che ogni giorno prega Dio perché il figlio abbia una bella vita (fin qui c’è poco da lamentarsi), le donne, i tatuaggi, il figlio, insomma tutto quel che serve ad avere 60milioni di like su Facebook e 70 milioni di followers su Instagram. Ma non confondiamo il valore con il cartellino del prezzo. Quello è il costo. Federica Pellegrini, Valentino Rossi, Roger Federer, o più indietro Pietro Mennea, Sara Simeoni, Josefa Idem valgono molto più di Neymar».

A questo punto, Mura propone una soluzione per salvare la competitività, lanciando l’idea del modello americano. «Nel calcio da qualche anno gira uno strano uccello che si chiama fairplay economico: appena si posa su un ramo gli sparano, cioè lo aggirano. Non è molto protetto. Il calcio internazionale è diventato un Far West senza sceriffi, ogni po’ una piccola modifica che riguarda gli arbitraggi, e solo quelli. Pannicelli caldi a un malato che sta schiattando, che vive o sopravvive sui proventi tv e non è capace di prendere l’unica seria decisione, l’unico argine al caso-Neymar e a quelli che verranno. Salary cap, come negli sport professionistici Usa. Che non sono certo un paese marxista, ma stanno molto attenti alle disparità economiche».

Il salary cap, in effetti, pare essere un obiettivo del presidente Uefa Ceferin, è un’eventualità allo studio del governo europeo del pallone. Da qui, il confronto con il sistema sportivo a stelle e strisce: «In America,  i dirigenti si preoccupano di varare squadre competitive rispettando integralmente i patti. A loro interessano la bellezza dello spettacolo, l’incertezza del risultato, le regole del gioco, e anche il botteghino, ma non solo quello. In un calcio che non è un gioco e dove le regole sono fatte per essere aggirate, sembra un discorso fantascientifico».

 

 

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