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Hamsik, i 30 anni di un capitano che non privilegia i vantaggi materiali

Marek Hamsik ha una storia contraddittoria, ma ha scelto Napoli nonostante differenze ed evidenze: oggi è riconosciuto come una vera bandiera.

Hamsik, i 30 anni di un capitano che non privilegia i vantaggi materiali

Un’età da ragazzo che vede ancora lontana la maturità ma che in uno sport usurante come il calcio significa l’inizio della parabola discendente. Il Capitano compie 30 anni e contemporaneamente viene celebrato come l’ultima delle bandiere di uno sport che, dopo l’addio di Totti, si ritrova senza più alcun alone romantico. Il Capitano compie 30 anni ed è l’unico capitano con la… cresta che sia mai passato sotto queste latitudini. Un capitano con una cresta anomala: non è un cavallone, non è piccolo tsunami pronto a rovesciarsi sul viso di chi gli capiti a tiro, no. La cresta di Capitan Hamsik è quella di un soldatino approdato sulle coste napoletane sotto l’egida di un talento centrocampistico non rutilante, non scoppiettante ma progressivamente capace di espandersi ed ingigantirsi.

Un soldatino divenuto generale, anzi Capitano, grazie alla magia di una cresta alta e dritta come una vela pronta a prendere il vento e a farsi avanguardia nel suo inserirsi tra le maglie delle difese avversarie. Diventando così… Marekiaro, come da regolare soprannome datogli da chi di dovere.

Legittimità

E così, un anno porta via l’altro, Marekiaro è riuscito a segnare tanti gol quanti l’indiosudamericano dal sinistro parlante come la mano di un Caravaggio o di un Michelangelo, ed è riuscito ad entrare nel cuore dei compagni con i suoi silenzi eloquenti fino a diventarne il legittimo Capitano. Ma diventare Capitano non significa mica essere per forza una bandiera.

Come si diventa, appunto, una bandiera? Marek Hamsik da Banskà Bistrica, repubblica della Slovacchia, una nazione giovane, più giovane del Capitano stesso, dato che esiste solo da Capodanno del 1993 grazie alla divisione della Cecoslovacchia, e con una popolazione pari a quella della sola Campania, approda al Napoli nel primo anno di Serie A dell’era DeLa. Un acquisto apparentemente in minore (come se ne sono sussegutiti tanti, in questi anni; alcuni si sono trasformati in… Capitani e capitali immensi, sportivi e finanziari, altri si sono trasformati in… capitoni buoni solo da mangiare a Natale), senza ancora la cresta ma con un talento riconosciuto da tutti.

Garanzia non da poco ma in quanti a 20 anni, con queste premesse, sono poi andati a perdersi e a spegnersi negli anni successivi? Dato che tutti giochiamo a pallone e pensiamo di capirne, la facciamo troppo facile e crediamo che diventar campioni (mantenendosi poi a grandi livelli) sia roba facile e quasi dovuta e scontata per chi ha talento. E invece è esattamente il contrario: chi ha talento ha bisogno di tanta applicazione per farcela, altrimenti l’aspetto fisico o l’aspetto tattico o quello mentale o quello psicologico del far parte di un gruppo, può tradirlo. Mentre è vero il contrario: chi ha la capacità di applicarsi e far crescere tutti i suddetti aspetti può sopperire, talvolta, anche ad un talento piccolo, minore appunto. Ma questo non era e non è il caso di Hamsik.

Cresta abbassata

Issata la vela, ops… la cresta, il buon Marek ha cominciato subito ad elargire traiettorie ed inserimenti imprevisti, capacità di recupero e di smarcamento non comuni, gol di diversa, ed ottima, fattura assieme ad assist imperdibili e vincenti. Anche quando la sua vela, ops… cresta, è stata costretta ad ammainarsi un po’ nel biennio beniteziano (e davvero sembrava avesse i capelli un po’ ammaccati in quei due anni grigi, se si rivedono alcune sue immagini), la sua assenza pesava più della sua, a volte purtroppo trascurabile, presenza in un ruolo e con compiti non adatti al talento e alla sua applicazione.

Il tempo

Ma veniamo al vero, magico ed inconsueto, lato contraddittorio di Marekiaro Hamsik. Si diceva che il Capitano compie 30 anni e che, di solito, con questa cifra tonda si identifica anche l’inizio di una fisiologica parabola discendente. Eppure, il Capitano ha appena portato a casa la sua miglior stagione in assoluto e nulla fa presagire che non possa migliorarla ancora.

Non certo solo per i gol e gli assist ma per la facilità ad interpretare un gioco che ne esalta l’intelligenza nel capire e nel dettare le trame di gioco, inserendosi a ricevere o intercettando palloni la cui traiettoria non sembrava dover approdare proprio tra i suoi piedi. Anche nelle sue giornate no, il Capitano riesce a tirar fuori un’illuminazione, una giocata sghemba, un tiro assolutamente pazzo (il gol di sinistro ai turchi del Besiktas nel girone di Champions dello scorso anno), un passaggio illuminante nel bel mezzo di una selva oscura.

Ma sempre da timido e riservato quale ormai si è capito che è; anche se, di tanto in tanto, in seguito a gol particolarmente belli o di estrema importanza, compare un’espressione da squalo che ha inghiottito la vela e l’ha trasformata nella sua pinna periscopica, pericolosa e rapace. Ecco, oggi il Capitano compie 30 anni pieni di gol, assist, corse, recuperi, palloni persi e palloni illuminanti, gioie ed illusioni, frenate e ripartenze. E il compie da Capitano del Napoli e da primo slovacco a vestire l’azzurro partenopeo.

Napoli, la scelta

Dieci anni di Napoli sono tanti per chiunque, figuriamoci per uno straniero proveniente da un paese con una popolazione pari a quella della Campania e un premier (Robert Fico) che tenta di chiamarsi come un grillino pentastellato napoletano senza riuscirci per una ‘o’ mancante che fa appunto tutta la differenza del mondo. Dieci anni di Serie A sempre con la stessa squadra, perdipiù per scelta.

Anche con lui, il vero squalo, quello che non ha bisogno di alcuna pinna (gli basta lo stomaco dilatato a sembrare una balena collodiana incattivita dai tempi), il buon Raiola da SarnAmsterdam, ci ha provato a fargli prendere altre strade (e altri ingaggi) ma la cresta del Capitano non ha mai tentennato: lui ha trovato la sua dimensione a Napoli e trovare la propria dimensione è il più grande regalo che ci si può fare nella vita. Una bandiera, dunque, come Maldini, Zanetti, Totti. E come ormai, appunto, Hamsik.

Le contraddizioni

Ed è che qui intervengono le tre, fatali, contraddizioni di Marekiaro il Capitano. La cresta (o taglio alla moicana) è ormai associata ed è simbolo della cultura punk nata ed affermatasi tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. Simbolo di appartenenza e ribellione, icona di una gioventù anticonformista pronta anche ad una certa violenza se provocata ed ostacolata.

Ebbene, Hamsik si fa cantore e monumento vivente di tale simbolo oggi ma ergendosi a suo completo opposto: mai una polemica, sempre pronto ad eseguire i compiti datigli, immancabilmente ben disposto ad accogliere e a condividere. La seconda contraddizione riguarda l’aver scelto una città che, tranne nel settennato maradoniano, non ha mai vinto nulla di importante e, quel che è peggio, non ha mai dato la sensazione di poter essere stabilmente tra coloro che possono vincere.

Castel Volturno

E un calciatore forte, di talento, si sa che vuole vincere. Sì, i soldi, gli ingaggi, la famiglia da sistemare: sono tutte cose vere. Ma i calciatori, come tutti gli sportivi, come tutti gli esseri umani, hanno un più alto scopo: lasciare traccia di sé, entrare nella ‘storia’, che sia la storia con la ‘S’ maiuscola o la storia di una qualsiasi disciplina o attività che li possa vedere protagonisti.

Hamsik viene cercato da tutte le squadre più forti e che fa? No, no, no col ditino, anzi con la cresta semovente, e resta a Napoli, città a sua volta contraddittoria, ricca e povera, violenta e dolcissima, avvolgente e respingente. Per finire, la terza incredibile contraddizione: Hamsik sceglie Napoli, decide di rimanere a Napoli (per vincere, ovvio, ma senza averne certezza a differenza di qualcun altro…) e dove va a vivere? Non a Posillipo o in qualche villa dorata nascosta dal verde e tenuta al riparo dalla possibile invadenza dei tifosi, bensì… a Castel Volturno, sul litorale casertano, una cittadina di 25mila abitanti afflitta da decenni da innumerevoli problematiche naturalistiche, ambientali, sociologiche, malavitose. E da lì non si muove e afferma che non si muoverà.

Scegliere l’immateriale

Insomma, dietro la faccia da bravo ragazzo che raramente perde pazienza ed educazione, e dietro la cresta post-moderna non aggressiva, anzi addirittura rassicurante (quanti bambini hanno costretto i propri genitori a farsi tagliare i capelli in quel modo in questi anni?), si nasconde un giovane uomo di talento con delle strane contraddizioni, a voler pensare nel modo conformistico in cui si è costretti talvolta oggi a ragionare.

Forse è per questo che i 30 anni del Capitano, oggi, non ci sembrano affatto l’inizio di una parabola sportiva discendente, ma l’inizio di un nuovo decennio pieno e ricco di ottime nuove contraddizioni.

Se Totti e Zanetti (le ultime bandiere dei nostri tempi) hanno smesso a 40 anni, perché non potrebbe veleggiare fino a quell’età un giocatore capace di nascondersi tra le linee e di riapparire all’improvviso, proprio come uno squaletto affamato, alle spalle di mille altri difensori, come il buon Capitan Hamsik che ha deciso di rinunciare a precise cose materiali per scommettere su un qualcosa di immateriale (e per questo allo stesso tempo più difficile da ottenere ma più gustoso da raggiungere) come vincere qui, a Napoli, a Castel Volturno?

Contribuendo magari anche ad un’ultima, incredibile ed indicibile, contraddizione: dopo l’aver sdoganato la cresta, riuscire magari a trasformare la sua squadra in una squadra vincente non solo una sola, mitica, volta ma in una squadra sempre pronta a ritornare vincente. In qualsiasi competizione e su qualsiasi campo.

Auguri, Marek, e altri dieci di questi magnifici anni contraddittori.

 

Giovanni Meola è autore, drammaturgo, sceneggiatore e regista teatrale e cinematografico
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