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Stefano Pioli, il riformista (ovvero, non chiamatelo normalizzatore)

Il profilo di Stefano Pioli: ama progetti dall’ampio respiro, dallo scorso novembre è seduto sulla bollente panchina dell’Inter.

Stefano Pioli, il riformista (ovvero, non chiamatelo normalizzatore)

Concretezza

Non è un rivoluzionario Pioli ma neanche un normalizzatore, equivoco stroncato sul nascere nel giorno della sua presentazione all’Inter: «Normalizzatore non è un termine adatto, perchè significa “colui che riporta la normalità”. (…) io sono un allenatore che cerca di fare al meglio il proprio lavoro e di sviluppare al meglio tutto il potenziale a disposizione». Lavoro caratterizzato dalla cura dei particolari e dalla concretezza, come quando giocava: «Era diligente, nel calcio come nella vita. Non ha mai tentato un tunnel per esempio. Non gli piacevano questi virtuosismi. Ai giochetti preferiva sradicare il pallone dai piedi dei centrocampisti». ha detto Celeste Pin suo compagno di squadra alla Fiorentina.

Il riformista

Dal classico 4-4-2 (discusso a Coverciano) al 4-2-3-1 (Chievo e Inter), passando per 3-5-2 (Bologna) e 4-3-3 (Salernitana, Parma, Lazio). Più che moduli di gioco riforme silenziose, trasformazioni che guardano in avanti partendo da dietro, dalla difesa, reparto fondamentale per il tecnico emiliano. Contrariamente da una rivoluzione, che genera un cambiamento improvviso e la rottura del modello precedente, la riforma tende all’evoluzione di sistemi: «Mi piacerebbe dare continuità al mio lavoro. Non credo che una stagione sia sufficiente per far assimilare tutte le idee di gioco, cultura ed atteggiamento».

Bologna (2011-2014) e Lazio (2014-2016) le esperienze più lunghe, Palermo (2011) quella più corta finita dopo appena due mesi e col campionato ancora da cominciare. Insomma, vinte le elezioni, per raccogliere i frutti del programma elettorale di Pioli occorre l’intero mandato: «Nelle situazioni dove ho avuto modo di lavorare fino alla fine, le aspettative che c’erano ad inizio stagione sono sempre state rispettate e questo è motivo di orgoglio e soddisfazione. In altri casi alcuni rapporti non mi hanno permesso di seguire un certo tipo di percorso».

Scuola juventina

«É intelligente, legge bene le partite, ha personalità». Queste le parole di Trapattoni su Pioli, suo giocatore alla Juventus. Stefano arrivò a Torino, sponda bianconera, nella stagione 84-85. L’allora diciannovenne, insieme al padre Pasquino e il diesse Sogliano, dopo due stagioni lasciò Parma in direzione Milano: «domani fatti trovare al casello dell’autostrada che andiamo a firmare per l’Inter». gli dissero. Una telefonata, arrivata durante una sosta all’autogrill di Piacenza, cambiò però la destinazione del viaggio e la vita del difensore: «al bivio Piacenza-Torino svoltammo. Pensai che avessimo sbagliato strada. Poi mi spiegarono che la Juve aveva offerto di più. Prima di arrivare a Torino dovetti subito tagliarmi i capelli».

La timidezza del ragazzo umile ed educato, di fronte a colleghi dal calibro di Platini, Rossi, Boniek, Cabrini, Tardelli, a differenza dei lunghi ricci neri ci mise un bel po’ prima di sparire. Con la vecchia signora Pioli, giocando poco (doveva lottare contro la concorrenza di Brio e Scirea), ha vinto tutto: scudetto, Coppa Campioni e Intercontinentale. Tre anni vissuti in largo che hanno formato il calciatore e l’uomo: «Ho imparato in quello spogliatoio cosa significhi essere un professionista».

[Le dichiarazioni di Stefano Pioli sono tratte da ultimouomo.com, calcionews24.com, repubblica.it e gianlucadimarzio.com]
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