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Subire un torto non vuol dire essere lamentoso

Abbiamo anche nostri limiti. Allo Stadium c’era tutta la dirigenza della Juventus, non del Napoli. E anche la squadra palesa alcuni limiti.

Subire un torto non vuol dire essere lamentoso
La formazione del Napoli allo Juventus Stadium

Guardiamo in casa nostra

Sui limiti del Napoli, come squadra e come società, si possono dire molte cose.

In ordine sparso, tra le tante sentite che mi sembrano condivisibili, la sfuriata del pre­sidente dopo la partita di Madrid non ha certo aiutato la squadra a superare un momento difficile, anzi ha probabilmente creato una distanza tra struttura societa­ria e squadra che non è utile.

Quella distanza era molto evidente sulle tribune dello Stadium, dove c’era tutto lo staff dirigenziale della Juve e un buon pezzo della famiglia Agnelli, mentre per il Na­poli non c’era nessuno. Il presidente è (legittimamente ci mancherebbe) a fare affari in giro per il mondo e il Napoli non ha una vera struttura dirigenziale, per cui se lui non c’è la squadra è sola. Anche queste cose contano per vincere.

L’importanza di giocatori esperti

Sul piano sportivo, aveva probabilmente ragione Benitez, e lo dico qui da rafaelita tra i rafaeliti, quando insisteva per prendere Khedira e Mascherano nell’estate del 2014, ritenendo che un vero salto di qualità si può fare solo con giocatori che ab­biano talento esperienza e personalità, di quelli che mettono timore agli avversari solo a leggere la tua formazione, perché non bastano i giovani di belle speranze o anche già molto forti, ma sempre senza esperienza a certi livelli.

Anche Sarri, poi, dovrebbe fare qualche riflessione se guardiamo le immagini di Ma­nolo a Wembley e le confrontiamo con le prestazioni deprimenti di Pavoletti, il quale sarà forte come dicono (confesso che non lo avevo mai visto giocare prima che arrivasse a Napoli), ma per ora sembra piuttosto inutile.

Se ne potrebbero aggiungere molte altre e i miei amici della chat WhatsApp su cui si commenta il Napoli a ritmo di 200 post in un dopo-gara, molto più competenti e accaniti di me, mi rimprovereranno di aver omesso qualcosa; ma, detto dei li­miti del Napoli, va detto con uguale chiarezza che sulla questione arbitrale noi ab­biamo ragione.

La scena del rigore negato ad Albiol

La scena del rigore negato ad Albiol e poi concesso alla Juve sul ribaltamento dell’azione su uscita di Reina, che a me è sembrata sul pallone, è il deja-vù del ri­gore negato a Ronaldo nella famosa Juve-Inter del 1998. Anche l’altro rigore è dub­bio (ferme le responsabilità di Maggio nella circostanza inguardabile), anche per il momento in cui viene concesso. E, naturalmente, non è la prima volta.

Questi discorsi li facevamo negli anni d’oro i cui eravamo forti e sono tornati di attua­lità nel momento in cui la squadra è tornata competitiva ad alti livelli. Vo­lendo fissare un punto nel tempo, mi viene in mente la partita di Pechino con un Pandev straripante espulso per ingiurie, perché da settanta metri aveva bisbi­gliato qualcosa in macedone ad un arbitro italiano. Il tutto mentre il Napoli stava dominando.

I limiti del Napoli e i torti arbitrali

Naturalmente anche in questo c’è una quota di responsabilità del Napoli, che sono quasi certo non abbia un responsabile delle relazioni istituzionali, anzi credo abbia un solo dirigente che viene pomposamente definito direttore generale, pur non avendo divisioni sotto di sé affidate ad altri dirigenti. Ma questi sono i limiti della gestione familista e familiare che non scopro certo io.

Detto questo, però, la questione arbitri quando si gioca con la Juve esiste da sem­pre, a volte in modo sottile con la gestione dei cartellini e dei falli, altre volte, come martedì sera, in modo più plateale. Queste cose vanno dette, senza temere di essere additati come complottisti o lamentosi, perché sono vere. D’altra parte pochi anni fa sono stati condannati e retrocessi perché imbrogliavano e hanno accettato quelle decisioni ammettendo le colpe e cacciando i dirigenti dell’epoca.

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